«Siamo convinti che si può fare qualcosa, siamo testardi e incoraggiamo tutti gli operatori pastorali e parrocchiali a tenere l’orizzonte della pace con obiettivo possibile». Nelle parole con cui Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana, apre il Convegno Mondialità 2024 dal titolo «Facciamo la pace?. Da desiderio di tutti a possibilità di ciascuno», c’è tutto il senso di un ritrovarsi insieme per non spegnere la speranza in un momento in cui le armi sembrano (sotto diverse forme) vincere ovunque. E, così, nella sede della Caritas a Milano arrivano in tanti per l’assise – annuale e sempre molto attesa – promossa dalla stessa Caritas insieme agli Uffici per la Pastorale dei Migranti e l’Ufficio per la Pastorale missionaria. Un centinaio di persone, in presenza, prendono parte al Convegno, moderato dal giornalista Alberto Chiara e che vede l’intervento iniziale dell’Arcivescovo, mentre 400 sono collegate da remoto a testimoniare l’importanza del tema trattato, sottolineata anche dalla partecipazione del vicario generale, monsignor Franco Agnesi, del moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti, del vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan e dei responsabili dei due Servizi diocesani co-organizzatori, don Alberto Vitali e don Maurizio Zago.
L’intervento dell’Arcivescovo
« Il buonsenso è la condizione per vivere in pace e la guerra è un disastro. Uomini e donne di buon senso si sono messi in cammino, ma poi hanno iniziato a litigare. Forse la lotta tra Caino e Abele ha per sempre segnato la storia dell’umanità, e quindi, il buon senso non basta», dice l’Arcivescovo che prosegue: «Si sono messi all’opera uomini e donne dei palazzi del potere per prendersi cura del bene comune: e, tuttavia, il potere, come si può constatare, diventa un motivo di ricatto. Ci sono poteri forti, occulti o palesi, che convincono gli uomini di potere a fare la guerra. Il potere sembra inappellabile e, invece, è ricattabile. Uomini e donne al potere sentono che il potere a volte lascia impotenti perché la buona volontà non basta a presidiare le istituzioni, i governi, i rapporti internazionali in modo tale che producano effettivamente un servizio per il bene comune, invece che la rivendicazione delle pretese, degli arbitri: i poteri sono potenze. Uomini e donne di potere sperimentano, come sembra di poter documentare abbastanza frequentemente, che il potere può rendere folli».
Dunque, che fare, cosa pensare, cosa sperare?, si chiede il vescovo Mario che, rispondendo immediatamente all’interrogativo posto a sé e ai convegnisti, fa riferimento agli uomini e donne di preghiera e di pace. «Ci sono uomini e donne di preghiera, cioè persone che si persuadono che senza un riferimento a Dio, una familiarità con Dio, la pace può essere un pio desiderio, una buona intenzione, ma infine una velletarietà. In una società che fa a meno di Dio, in cui è molto più difficile sperare che anche i potenti si convertano, che gli uomini e le donne di buon senso possano recuperare il buon senso», chi prega, è disponibile a pagare il prezzo della coerenza, suggerisce monsignor Delpini. .
«Fatevi avanti, gente di preghiera»
«Ci sono, sulla faccia della terra, uomini e donne disponibili al sacrificio per coerenza a ciò in cui credono. Perciò io voglio soltanto incoraggiarli a farsi avanti perché si possa immaginare che, attraverso i passi quotidiani, anche i gesti minimi, piccole oasi di profezia, possa tornare in mezzo alla gente la speranza che la pace sia possibile, non come una sorta di immaginario paese delle favole, ma come un realistico sforzo di costruire pezzo per pezzo, paese per paese, regione per regione, il nostro obiettivo. Avete una speranza, un piccolo sentiero da indicare e da percorrere: fatevi avanti».
La relazione di padre Casalone
È, poi, il gesuita padre Carlo Casalone, teologo, collaboratore della Pontificia Accademia per la Vita e presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, a tenere la relazione dal titolo “Costruire la pace: l’orizzonte cristiano”. «La pace – scandisce -, è uno dei temi fondamentali della vita, è al cuore del Vangelo, realtà tanto necessaria per il vivere e per il convivere della famiglia umana, quanto sfuggente e molteplice nelle sue dimensioni e implicazioni. La pace ci interroga, soprattutto nel tempo in cui è messa in crisi dal dilagare della violenza e della guerra». Da qui l’articolarsi della comunicazione tenuta in tre passaggi: «In che senso la pace è un dono, come si presenta e cosa comporta per noi».
La pace come prodotto
«La pace come prodotto è quella “come la dà il mondo”, una forma di quieto vivere che cerca di allontanare i pericoli, garantendo la sicurezza e tenendo a freno la violenza. Viene in mente la “pax romana” citata da Kennedy nel giugno 1963, che il presidente degli Stati Uniti, sostituisce con la pace americana, una pace cioè imposta dalla forza delle armi. Lo stesso JFK la riteneva, tuttavia, insufficiente e la distingueva dalla pace genuina, cioè quella che rende la nostra vita degna di essere vissuta, pace per tutti gli uomini e tutte le donne, non solo nel nostro tempo ma in tutti i tempi. In tempo di nucleare, la guerra venne percepita contro il buon senso, per questo bisogna andare oltre, facendo evolvere le istituzioni, immaginando azioni concrete». Come a dire, non esiste la bacchetta magica, ma si può convergere su interessi che coinvolgono tutti, perché la distruzione totale non serve a nessuno.
«Eppure – continua Casalone – , questa logica basata sul vantaggio per tutti, non è sufficiente per i conflitti territoriali. Vi è sempre una forza che spinge alla supremazia arrivando a una costruzione accurata del nemico, attraverso la comunicazione, e alla sua distruzione». È in tale contesto che la pace come dono va oltre l’apparenza, la logica del win-win dove vincono tutti che, in realtà, è una formula magica, una soluzione impossibile come ci dice la storia, perché la pace occorre prima di tutto desiderarla, riconoscerla, accoglierla: se non riconosciamo l’attrazione per quella vita riuscita che è la pace, non capiremo la forma di abnegazione che richiede».
La pace come dono
Una pace – questa – che «chiede una conversione profonda, perché fermandosi alla pace apparente e più facile essere distruttori di pace che suoi costruttori. Dimentichiamo i peccati sociali che compiamo per distrazione e, spesso, quando diciamo che siamo in pace, non ci rendiamo conto che si tratta di una pace apparente. Papa Francesco ha evidenziato questo fenomeno a livello planetario, già dai primi anni del suo papato nel 2014, insistendo sulla presenza poco manifesta di una “guerra mondiale a pezzi”, ormai purtroppo divenuta secondo lui “totale”». Un’intuizione profetica che è stata favorita dalla sua provenienza “dalla fine del mondo”, dalla periferia, «perché il mondo occidentale se ne rende conto molto meno, anche se il giardino dell’Europa, che lascia fuori la giungla è un’ illusione che sta franando».
«I fiumi di sangue sono sempre preceduti da torrenti di fango dove ci siamo lasciati coinvolgere in maniera spensierata e irresponsabile, con egoismi personali e di gruppo, di classe, menefreghismo, indolenza, voltando la faccia di fronte al traffico di persone e stupefacenti».
Il richiamo del Padre gesuita è, allora, alla famosa preghiera per la pace di Paolo VI citata dal cardinal Martini nella Veglia per la Pace del 1991, in occasione della guerra del Golfo. «La pace come dono è una dinamica vissuta dalla coscienza che si sente interpellata dalla pace apparente che nasconde in realtà i conflitti: pensiamo alle nostre omissioni. Essere operatori di pace secondo il Vangelo è un dono che implica una responsabilità esigente, che si realizza a caro prezzo con una lotta di conversione e trasformazione interiore che ha toni drammatici, di riorientamento di tutta la vita nell’orizzonte della pace messianica, sintesi di tutti i doni».
Il testimone
Così come fece Franz Jägerstätter, il testimone esemplare citato da papa Francesco nel 2022 e del quale Casalone ripercorre la vicenda esistenziale, dalla nascita umile in Austria, alla fede crescente vissuta attraverso la lettura giornaliera della Bibbia insieme alla moglie, all’essere padre di tre figlie, fino al suo no al nazismo. «Fu l’unico del suo piccolo paese a votare contro l’annessione dell’Austria al Reich e, nonostante tutti, anche il parroco, gli consigliassero di non esporsi e accettare la realtà, quando il 1 marzo del 1943 venne chiamato alle armi, rifiutò il giuramento a Hitler. Arrestato e processato, fu condannato a morte e decapitato il 9 agosto del 1943. “Né carcere, né catene né la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio”, scrisse nel suo testamento spirituale Jägerstätter, a lungo dimenticato, ma beatificato a Linz, nell’ottobre del 2007, da Benedetto XVI.
«La pace come dono è nel lavoro della coscienza di questi testimoni. Non si tratta di fare tutti come lui, ma è bene che tutti gli umani, e i credenti in particolare, dicano almeno una parola. Non è detto che tutti siano eroi, ma tutti devono denunciare l’ingiustizia nella situazione in cui siamo oggi, in una condizione molto diversa dove la guerra “ibrida” si gioca su molti fronti da quello economico all’ipertecnologico, con i droni. Per questo il Papa, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, ha parlato di Intelligenza artificiale, perché sempre di più è tagliata fuori la mediazione umana. La pace, che tiene come orizzonte la pace messianica di cui Cristo e testimone e costruttore primo, sa costruire, invece, alleanze e mediazioni insieme», conclude Casalone. «Il mio desiderio è che anche il Sinodo dica qualcosa su questo. Nella logica evangelica, si tratta di umanizzare i conflitti nell’intento di risvegliare la coscienza dell’altro. Ma per questo ci vuole una lunga preparazione che coinvolga tutti in forme di lotta non violenta, richiedendo un’azione preventiva e formativa in cui i cristiani possono dare il loro contributo, cercando attivamente modalità di difesa civile. Perché, come dice il Papa, le guerre si fermeranno solo quando smetteremo di alimentarle».
E al Sinodo e allo stile di Chiesa che sta cercando di modellare nella logica della sinodalità, si richiama anche l’Arcivescovo. «Una Chiesa impopolare e fastidiosa in certe parti del mondo e perseguitata in altre, percorre le strade di Gesù e questo fa sì che i cristiani siano effettivamente, là dove vivono, l’unica presenza in cui si possono incontrare coloro che sono in conflitto, come e stato raccontato al Sinodo».
La Tavola rotonda
Nella seconda parte della mattinata la Tavola rotonda ha visto le testimonianze concrete di tanti cammini difficili, ma riusciti, di pace e pacificazione con Giulia Ceccutti, coordinatrice dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom- Wahat al-Salam, che da oltre 30 anni sostiene un villaggio in Israele in cui ebrei e palestinesi vivono insieme in equità e giustizia; Sharizan Shinkuba, dell’associazione Rondine Cittadella della Pace, impegnata in tutto il mondo in progetti di solidarietà e amicizia tra i popoli; Tiziana Bernardi, presidente della Onlus Golfini rossi, che persegue finalità di solidarietà sociale negli ambiti della formazione, start up di micro impresa a sostegno di economie povere attraverso la cooperazione internazionale; Luca Bertoni, partecipante a Strade di pace, percorso formativo-esperienziale che Caritas ambrosiana propone a giovani tra i 18 e i 35 anni dell’intera Diocesi.