Don Marco Pagniello, pescarese, è direttore di Caritas Italiana da novembre. A Milano sarà per la prima volta al timone di un Convegno nazionale (20-23 giugno alla Fiera di Rho, vedi il box a fianco e leggi qui la presentazione), in vista del quale ha rilasciato un’ampia intervista al mensile di strada Scarp de’ tenis, da cui riprendiamo alcuni passaggi.
Don Pagniello, come si concilia il tema del 42° Convegno nazionale con le sfide che Caritas si trova di fronte?
Il Convegno è un’occasione per rileggere l’impegno Caritas, il nostro lavoro e la nostra presenza nei contesti ecclesiali, con un obiettivo preciso: andare in cerca dei più deboli, fino alle frontiere più difficili, per renderli protagonisti della propria vita. Vogliamo camminare insieme a loro, ripartire da loro. Il nodo ricorrente è riuscire a coniugare il servizio diretto alle persone con l’azione pedagogica: rischiamo a volte di dimenticare che Dio parla attraverso i poveri e non tramite opere o strutture, attraverso l’amore e non tramite le prestazioni.
Gli ultimi, il Vangelo, la creatività. Sono le tre vie sulle quali Caritas è stata invitata a camminare dal Papa. Ce le illustra?
La storia si guarda dalla prospettiva dei poveri – ha sottolineato il Papa – perché è la prospettiva di Gesù. La cifra della Caritas si misura anche nello stile, che è la carità evangelica, come ce la presenta San Paolo: «Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta… e non avrà mai fine». Questa è la Chiesa-misericordia. Però anche missionaria, che esce e va nelle periferie, propone nuovi stili di vita. Fedele alla sua storia, aperta al nuovo e ai suggerimenti dello Spirito, Caritas è pronta a contribuire all’avvio di fecondi processi generativi.
Come aiutare i giovani a raccogliere la sfida della carità creativa?
Non dobbiamo tanto essere una Caritas che dà, quanto piuttosto comunità e famiglia che condivide. Papa Francesco ci ha esortato a cercare incessantemente percorsi e proposte «a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati»; volti a «iniziare processi», più che a «possedere spazi». Dobbiamo insomma sforzarci di rendere la ricca esperienza di 50 anni di servizio Caritas non un bagaglio di cose da ripetere, ma la base su cui costruire un inedito connubio tra la «fantasia della carità» e la «parresia della denuncia», che «proclama la dignità umana quando è calpestata».
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