di Rita Salerno
La pace è, con l’aspirazione all’unità dei cristiani, il caposaldo di tutto il pontificato di Karol Wojtyla. E’ i mpossibile non riconoscere il contributo considerevole dato da Giovanni Paolo II alla pace nel mondo. Specie negli ultimi scampoli del tormentato secolo ventesimo e agli albori del terzo millennio cristiano. In questo, il suo magistero riprende e aggiorna, con accenti inediti, alla luce del nuovo scenario internazionale, l’eredità dei predecessori. Il «Mai più la guerra!» di Paolo VI e la Pacem in terris di Giovanni XXIII s’intrecciano nella predicazione di Giovanni Paolo II, che trae spunto anche dalla condanna della guerra già contenuta nel Concilio Ecumenico Vaticano II. Originale è, in questo senso, la richiesta di perdono per il peccato commesso dai cristiani con la guerra.
Nella prima enciclica del suo pontificato, la Redemptor hominis, del 4 marzo 1979, il Papa individua nel rispetto dei diritti umani l’unico cammino per assicurare la pace tra i popoli. «In definitiva – scrive il Pontefice – la pace si riduce al rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo – opera di giustizia è la pace -, mentre la guerra nasce dalla violazione di questi diritti».
Questo legame tra giustizia e pace costituirà il punto nodale degli innumerevoli interventi pontifici per la realizzazione della pace nel mondo, sia in ambito locale e regionale, sia in prospettiva mondiale. Un magistero ricchissimo, quello di Giovanni Paolo II, a cominciare dai suoi messaggi per la Giornata mondiale della Pace, che si celebra ogni anno il 1° gennaio. Altrettanti moniti a una pacifica convivenza tra i popoli, altrettanti richiami al dovere della pace. La tradizionale udienza riservata al corpo diplomatico presso la Santa Sede nei primi giorni di gennaio è sempre stata occasione privilegiata che Giovanni Paolo II ha sempre sfruttato per uno sguardo a tutto campo sulla situazione internazionale e per dare un personale contributo alla concordia tra le nazioni.
Per favorire una nuova èra di concordia, Giovanni Paolo II si è speso interamente, compiendo viaggi internazionali, incontrando capi di Stato e di Governo, uomini di cultura ed esponenti di spicco della società civile, non lesinando messaggi perfino ai Parlamenti nazionali. Dalla guerra delle isole Falkland al conflitto in Bosnia, dalla guerra del Golfo alla crisi Usa-Iraq, dall’area mediorientale alle regioni dei Grandi Laghi in Africa: non c’è area infuocata del pianeta che non abbia ricevuto attenzione dal Papa. In questo disegno rientrano a pieno titolo le tre giornate mondiali di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo, nel 1986, nel 1993 e poi nel 2002. Tre tappe essenziali nel pontificato, scandite dalla preghiera, dal pellegrinaggio e dal digiuno, in cui per la prima volta le parole e i gesti di tutte le tradizioni religiose si fondono in un’unica invocazione di pace.
Non meno consistente è l’opera di pacificazione promossa nei Balcani. Quando la gravissima crisi politica scoppiata nel cuore dell’Europa assume i connotati di una guerra a sfondo etnico, Giovanni Paolo II interviene con vigore per richiamare il rispetto dei diritti di ogni persona e di ogni comunità nazionale. Nello spazio di poco meno di un anno, dal 30 gennaio 1991 al 13 gennaio del 1992, il Successore di Pietro leva la sua voce per ben 37 volte durante la prima fase della crisi jugoslava.
Quando lo spettro del conflitto si allarga anche al Kosovo, Giovanni Paolo II fa di tutto per richiamare le parti alla ragione. Un’azione che si fa insistente in occasione della crisi irachena. Il Papa segue l’evolversi della situazione con attenzione e l’opera di mediazione si fa pressante attraverso l’invio di suoi rappresentanti personali, i cardinali Etchegaray a Baghdad e Laghi a Washington, e intensificando i colloqui con i maggiori leaders europei.