«Siate messaggio, per chi vi incontra, del nostro Dio sorprendente, con lo stupore di gente che ha storie da raccontare e vuole smentire le previsioni catastrofiche: siate figli della speranza».
È un invito a non cedere al lamento e al pessimismo, quello che l’Arcivescovo rivolge ai moltissimi fedeli – malati, barellieri, dame, medici, infermieri, volontari, amici, giovani – che, con le loro insegne e gonfaloni, affollano il Duomo per la Celebrazione che ricorda e sottolinea il 60esimo anniversario della Sezione milanese dell’Oftal, Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes, fondata negli anni ’30 del secolo scorso da monsignor Alessandro Rastelli e costituita ufficialmente in Associazione dall’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini.
Oggi i soci della Sezione sono 5400, tra malati e volontari impegnati nel sostegno alle persone in difficoltà e, naturalmente, nell’attività fondativa, i pellegrinaggi mariani a Lourdes (4 l’anno) a Fatima, Santiago de Compostela e in altri santuari europei, oltre ai viaggi in Terrasanta. E proprio dai luoghi santi, dove si trova con un gruppo di pellegrini, scrive il suo messaggio – letto per l’occasione in Cattedrale dal presidente dell’Oftal Milano, Carlo Spinelli – il presidente generale monsignor Paolo Angelino. Concelebrano 23 sacerdoti, tra cui il vescovo ausiliare monsignor Erminio De Scalzi, il vicario episcopale per la Città di Milano, monsignor Carlo Azzimonti, don Antonio Suighi delegato arcivescovile e i delegati di Vercelli (la sede centrale dell’associazione ecclesiale è a Trino Vercellese), monsignor Sergio Salvini e di Brescia, monsignor Maurizio Finazzi.
«Il cambio epocale che stiamo vivendo ci forza, non solo a rivedere il nostro operare, ma anche a inventare nuovi strumenti per far vivere a tutti il miracolo di un pellegrinaggio a Lourdes. Miracolo è la trasformazione del dolore in amore, in una carità fraterna senza confronto», evidenzia, da parte sua, il presidente Spinelli richiamando la beatificazione di Benedetta Bianchi Porro, avvenuta il 14 settembre scorso, che compì il suo pellegrinaggio a Lourdes con Oftal, nel 1963, già molto malata. «Ci impegniamo a dare speranza ai tanti sfiduciati e sofferenti di questo nostro tempo».
L’omelia dell’arcivescovo
In riferimento alla lettura tratta dal Primo Testamento nel Libro del Deuteronomio – con un Mosé sostanzialmente pessimista -, l’Arcivescovo dice. «Mosè conclude la consegna del libro della legge con una visione scoraggiata e pessimista, ma noi siamo qui per smentirlo. Questa attitudine a vedere la storia come un declino, a considerare l’umanità più incline al male che al bene, sembra radicata anche nella mentalità del nostro tempo. I discorsi che si ascoltano, l’abitudine al lamento, le sentenze dei sapientoni, le statistiche studiate appositamente, convergono in una specie di tesi desolante sul domani. Ma, come ci sono le statue dei santi su queste colonne nel nostro Duomo, siamo qui per dire che anche noi ci siamo e siamo contenti di questa possibilità di condividere, di stare con i malati e di accompagnarli nei pellegrinaggi. Non siamo ossessionati dai numeri – quanti siamo o eravamo – ma siamo interessati alla gioia, alla fraternità, al cammino spirituale. Abbiamo dentro un fuoco e non si spegnerà».
Ma come contrastare l’antico pessimismo mosaico e lo spirito malinconico della modernità, tanto diffuso per le nostre strade e tra le nostre vite?
«Non abbiamo numeri da esibire, ottimismi ingenui o la presunzione di un funzionamento perfetto: abbiamo, invece, storie da raccontare, sorprese da condividere, perché siamo stati sorpresi dal Signore là dove non si pensava, impressionati da una bellezza inattesa, da un’esperienza entusiasmante». Anche quando, magari, «ci sono giorni e tempi che si avviano con malavoglia, iniziative alle quali si mette mano come costretti, senza aspettarsi niente, in luoghi che non ci attirano, in situazioni che ci preoccupano, in ambienti antipatici e con persone che non promettono niente di buono. Proprio in quel luogo e in quella situazione, si può essere stati commossi da uno spettacolo di bontà sorprendente, coinvolti in una esperienza entusiasmante che segna, in una grazia che converte, in una testimonianza di santità che edifica».
Da qui la conclusione, espressa con quel “Vegliate” rivolto dal Signore ai discepoli nel 13esimo capitolo del Vangelo di Marco.
«Viviamo, quindi, come gente viva, che non si ripiega sulle malinconie, che non si lascia ingabbiare nelle nostalgie. Siamo gente che dimora nello stupore; che è vigile perché, in ogni momento, in ogni luogo, presso ogni persona, si rende presente lo Spirito di Dio. Stiamo attenti a riconoscere in ogni situazione un’occasione. Abbiamo storie da raccontare, ma non fermiamoci a queste. Siamo in cammino verso altre sorprese di Dio, stiamo svegli per accogliere l’imprevedibile premura con cui Dio vuole consolarci, attenti gli uni agli altri, perché non sappiamo da quale cuore e da quale voce, ci giungerà una parola commovente che ci donerà la luce. Siamo figli di un Dio sorprendente: fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati».
Dopo la comunione portata dall’Arcivescovo ai tanti malati che si trovano nelle prime file, torna il senso di quella che lui stesso definisce «un’immensa gratitudine per la testimonianza che sani e malati danno». Testimonianza che, per qualcuno, dura da 60 anni – dai primi giorni dell’Oftal Milano -, come Giorgio Caprino, Franco Rocca e Giovanna Cerina cui vengono consegnate le pergamene di ricordo e riconoscenza.