Sei parrocchie riunite nella Comunità pastorale intitolata a San Giovanni Paolo II, il Pontefice amico della città fin dai tempi polacchi. E poi, ancora, due chiese rette da religiosi (Orionini e Olivetani), otto sacerdoti, due diaconi e tre ordini religiosi femminili. E naturalmente un popolo (45 mila abitanti), che risente della secolarizzazione, ma che in buon numero dà vita a una comunità vivace, articolata in movimenti, associazioni e gruppi o più semplicemente attivi nella vita parrocchiale.
Anche Seregno, nel cuore della Brianza monzese, si sta avvicinando al rinnovo del Consiglio pastorale di Comunità, nei tempi e nei modi proposti dalla Diocesi: 25 i “seggi” da rinnovare, cui si aggiungeranno 5 nominati e 12 fra sacerdoti e religiosi. «Trovare almeno una cinquantina di persone che vogliano impegnarsi in questa esperienza di servizio è anche una sfida – osserva monsignor Bruno Molinari, da cinque anni responsabile della Comunità -. Il primo quinquennio appena concluso ci dà però una serie di indicazioni».
Innanzitutto l’evoluzione da due Comunità pastorali a quella unica («si è superata la frammentazione anche campanilistica») e poi la coscienza che il Consiglio non si debba occupare di piccole decisioni pratiche, manutenzioni, singole iniziative, ma – senza aspirare a decisioni epocali – «pensare a reali esperienze di comunione, elaborare temi pastorali alti», suggerisce ancora don Bruno. Un Consiglio che provi a rinnovarsi e a essere attrattivo per i giovani, che lavori in raccordo con la Diaconia e ispiri il lavoro delle Commissioni tematiche trasversali (famiglia, carità, liturgia, giovani). «Il prossimo Consiglio – auspica ancora Molinari – dovrà completare l’articolazione della Comunità con l’attivazione delle Consulte parrocchiali, che potranno portare negli ambiti di vita più vicini le decisioni del Consiglio».
La popolazione seregnese è costituita da almeno un 8% di stranieri, molti di fede cristiana. Quale la ricaduta del Sinodo «Chiesa dalla genti» sul nuovo Consiglio pastorale? «Quando c’erano le due Comunità pastorali, nel Consiglio di Maria Madre della Chiesa era presente una fedele di origine peruviana – risponde -. Qualcuno si è già fatto avanti, credo che nel rinnovato Consiglio sia indispensabile avere anche la voce di chi ha origini straniere».
Ma, in tutta franchezza, c’è la tentazione di risolvere tutta questa pratica nell’adempimento di una formalità e dedicare qualche sera a esercizi di oratoria varia? «È vero, c’è anche questa tentazione, non nascondo che qualche prete non ne sente l’esigenza – ammette Molinari -. Ma la mia esperienza di responsabile della Comunità ne avverte il bisogno. E’ un modo per essere davvero Chiesa e per camminare insieme. È una esperienza di confronto, ma soprattutto di condivisione, non meno del Consiglio per gli affari economici, che non può essere solo la sede dove si fanno i progetti o si esaminano i conti. Anche questo deve essere il luogo di riflessioni più ampie e di decisioni realmente ecclesiali».