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Anniversario

«Condividere la gioia con lo stile dell’amabilità per costruire un umanesimo di giustizia»

L’Arcivescovo ha presieduto l’Eucaristia nella basilica di Santa Maria delle Grazie per la Comunità dei Domenicani a 800 anni dalla morte del fondatore, san Domenico Guzmán

di Annamaria Braccini

12 Dicembre 2021

I momenti di serenità, di preoccupazione e quelli in cui è necessario fermarsi per prendere delle decisioni. Accade a ogni comunità cristiana anche se, “facendo il punto”, «c’è il pericolo di continuare a contarsi, di non avere più energie, di ripiegarsi sulle questioni interne. Ma non siamo autorizzati a restare tra noi. Il primo problema non è risolvere i nostri problemi, ma raggiungere i destinatari della nostra missione».
A dirlo è l’Arcivescovo che, nella splendida basilica di Santa Maria delle Grazie, ricorda, con la comunità dei Frati Predicatori, gli 800 anni dalla morte del fondatore, san Domenico Guzmán, avvenuta a Bologna l’8 agosto 1221. Una comunità, quella milanese, che conta oggi oltre 20 religiosi.
Una quindicina i concelebranti la Messa, tra cui fra’ Daniele Drago, priore provinciale della Provincia di San Domenico in Italia, molti suoi confratelli e don Vittorio De Paoli, parroco della basilica di San Vittore al Corpo, nel cui territorio si trovano “Le Grazie”. A porgere il saluto di benvenuto è il Provinciale che ringrazia e sottolinea, rivolto al vescovo Mario: «La sua presenza è motivo di onore e, come tutto ciò che è spirituale, eleva la nostra vita».
Parole cui fanno eco quelle iniziali dell’Arcivescovo. «In questo anno centenario di san Domenico sono contento di avere occasione di pregare qui per lasciare che la forza di Dio, lo zelo del fondatore e di tanti frati predicatori contagi anche tutti noi».
«Un’inquietudine per la missione», come la definisce il Vescovo, «che deve svegliare tutti. I missionari, infatti, non sono solo gli addetti ai lavori, ma i laici, perché solo voi arrivate in alcuni luoghi come quelli del lavoro», osserva, in apertura dell’omelia, monsignor Delpini, parlando direttamente ai fedeli presenti, tra cui tanti appartenenti al Terzo Ordine Domenicano.

L’omelia

«Ma abbiamo qualche cosa da dire a questa città, a questo tempo?», si chiede e chiede l’Arcivescovo. Nelle Letture «con il loro annuncio di gioia» – dal profeta Sofonia alla Lettera paolina ai Filippesi e al Vangelo di Luca al capitolo 3 -, la risposta è un messaggio da portare con gioia. «“Rallegrati, figlia di Sion”, dice Sofonia e “Siate sempre lieti nel Signore”, suggerisce san Paolo, con un “kaire”, carissimo all’arcivescovo, che è rivolto a Gerusalemme e a Maria nel Vangelo.
«Quello che abbiamo da dire è la gioia. Potremo dire la gioia senza dare gioia? La gioia che viene da Dio non è l’allegria facile di un giorno fortunato, la soddisfazione di un risultato conseguito, non dipende dal buon umore, ma dalla presenza del Signore. Il primo modo di annunciare il Vangelo è offrire una testimonianza della gioia che generi lo stupore nelle persone che incontriamo. Gioia che non è una parola, ma un dono che deve essere offerto con una condivisione», scandisce il vescovo Mario che aggiunge: «Questi messaggeri – Sofonia, Paolo, Giovanni il Precursore – devono inquietarci. Come riusciamo a raggiungere la città? Forse la parola che viene dal Vangelo non trova consensi e applausi facili, ma non possiamo tacerla».
E, cosi, come scrive Paolo, occorre avere uno stile da cui i cristiani possano essere riconosciuti, l’amabilità. «Non ci sono solo cose da fare, comandamenti da vivere, iniziative e impegni. C’è uno stile che caratterizza i rapporti dentro la comunità cristiana e con tutti: l’amabilità, la gentilezza, quell’attenzione alla sensibilità altrui che rifugge dalle reazioni aggressive, dai comportamenti urtanti, dalle parole aspre e dal tratto maldestro che offende».
Un’amabilità che si coniuga con la fermezza, «ma che rifugge dall’arroganza e non sopporta la maleducazione. Amabilità non per tolleranza del male, non per viltà e timidezza, ma perché siamo discepoli di Gesù».
Chiaro il riferimento al recentissimo “Discorso alla Città” dal titolo proprio, “…Con gentilezza”, nel quale monsignor Delpini evidenzia la possibilità di un umanesimo cristiano – nel quale si può riassumere il messaggio del Precursore – da realizzare con i caratteri specifici della giustizia e della misericordia che cerca di consolare e di aiutare. Un umanesimo, conclude, che renda desiderabile vivere in questa città e che riguarda tutti noi.

La presenza domenicana a Milano

Una presenza secolare quella dei Domenicani a Milano, infatti, san Domenico fu in più occasioni in città. Le prime visite si collocano tra il 1215 e il 1217, quando il fondatore fu ospite dei rettori di “San Nazaro” e di “San Barnaba”, con l’obiettivo di trovare una dimora anche nel capoluogo lombardo per i suoi frati.
La basilica di Sant’Eustorgio fu certamente la sede stabile dei Domenicani a Milano, ma una tradizione ripresa dallo storico Serviliano Latuada individuava nella chiesa di Sant’Agostino in Rugabella il primo luogo dove fu loro data accoglienza. Altri soggiorni di Domenico a Milano si tennero tra l’agosto 1219 e il giugno 1220. Naturalmente fu san Domenico a scegliere personalmente i primi frati predicatori da inviare a Milano per dare vita al primo convento. A capo del gruppo, secondo le cronache medievali, vi era fra’ Rolando da Cremona, già professore di filosofia a Bologna, poi primo docente domenicano di teologia a Parigi: ma la notizia non ha ancora avuto un riscontro certo. Documentato, invece, è il nome del primo priore milanese: fra’ Jacopo de Ariboldis, che probabilmente era un sacerdote milanese che aveva conosciuto Domenico mentre era studente all’Università di Bologna.