Tra un momento di preghiera e una pizza, tra un pomeriggio di doposcuola e la preparazione di un ritiro, chi vive l’oratorio sa che ci sono alcune domande ricorrenti: riusciamo a portare i ragazzi all’incontro con Gesù? La trasmissione della fede non rischia di essere coperta dagli sforzi organizzativi? E come trasmettere la bellezza del Vangelo anche a quelle famiglie che, magari, vedono l’oratorio solo come un servizio? Sono domande che in questi anni si fanno probabilmente più forti, mentre gli oratori, rinnovando quella che in fondo è da sempre la propria missione, sperimentano sempre più l’apertura a una pluralità di storie e di provenienze. Mentre, tra i responsabili e gli educatori, ci si chiede se le tante possibilità che offre l’oratorio non vadano però di pari passo con una proposta di fede a bassa intensità, troppo debole per mostrare in modo significativo l’esperienza del Vangelo.
Obiettivi limitati?
La centralità di queste domande ha portato la Fom a proporre il percorso formativo sul tema «Oratorio e fede», che si apre con la due-giorni dell’8 e 9 ottobre a Seveso (iscrizione online) per poi proseguire, tra gennaio e febbraio, con la Settimana della formazione e con l’Assemblea degli oratori. «È vero che in oratorio si incontrano storie diverse – riconosce Francesca Peruzzotti, docente di Teologia in Cattolica e collaboratrice della Fom, che nel suo intervento a Seveso rifletterà su come si vive la fede in oratorio, alternandosi con il pedagogista Raffaele Mantegazza e con don Franco Gallo -. Ed è vero che anche in oratorio rischiamo di porci obiettivi di corto respiro, a volte puntando sulla struttura più che sulle persone, sui numeri e sul lato emozionale più che su un radicamento, più lento, della fede».
Vivere la trasformazione
Non si tratta, però, né di puntare il dito verso un contesto sociale che non favorisce la trasmissione della fede, né di irrigidirsi in chiusure o ritorni al passato. Valorizzando la prospettiva evangelica, Peruzzotti sottolinea anzi come proprio l’apertura a cui è chiamato l’oratorio richieda a chi ha cuore questo ambiente di vivere ancora più in profondità il Vangelo. Anche nel Vangelo, ricorda la docente, «l’annuncio spesso non avviene in modo diretto. Ma proprio il racconto evangelico ci mostra la possibilità di stringere relazioni con interlocutori di qualsiasi provenienza. Interlocutori che, proprio in quest’incontro, trovano una possibilità di trasformazione. Non ci deve interessare, quindi, se chi arriva in oratorio abbia un’identità precisa. Piuttosto dobbiamo chiederci noi stessi, come responsabili in oratorio, se per primi riusciamo a vivere questa trasformazione, e quanto ciò che viviamo diventi testimoniale per altri.
In una prima indicazione pratica, Peruzzotti suggerisce quindi di valorizzare anche in oratorio la centralità della Parola, anche per assimilare via via uno stile con cui guardare al mondo. Uno stile proprio di chi, «come avviene nella Scrittura, riconosce quella traccia di Dio sempre presente nella quotidianità degli uomini». Così, se la proposta dell’oratorio mantiene la propria “differenza cristiana”, la sua universalità rimanda a un’apertura propriamente evangelica.