Sarà un tema delicato, il suicidio in adolescenza, quello al centro della due-giorni Fom «PensiAmo l’oratorio» del 10 e 11 ottobre a Seveso (iscrizioni online). Un tema che si impone all’attenzione di tutti, con numeri in crescita negli ultimi anni, mostrando di essere la punta dell’iceberg di una sofferenza sperimentata da molti adolescenti, spesso in solitudine. È proprio di questi giorni l’appello che l’Arcivescovo, presentando la Proposta pastorale dell’anno, ha rivolto agli adulti a non lasciare soli i giovani.
Un richiamo di cui sottolinea le ragioni il professor Ivo Lizzola, docente di Pedagogia della marginalità e della devianza all’Università di Bergamo, tra i relatori della due-giorni. «Gli adolescenti non sono esagerati nella loro ricerca di assoluto – avverte -. Perché sono nel periodo della vita in cui possono assumere la capacità di creare, di immaginare il mondo, di vivere davvero le relazioni in profondità. Possiamo dire, in questo senso, che gli adolescenti sono essenzialmente dei credenti. Che però hanno bisogno di incontrare contesti che siano fortemente segnati dalla possibilità di credere, da un agire; contesti in cui gli adulti siano presenti per una scelta di valore, e non solo per interesse, per autodifesa, o per scambio. Altrimenti, il bisogno di credere degli adolescenti non sa dove appoggiarsi, e può addirittura portare al rischio di temere il confronto con la realtà, temere la possibilità che la speranza sia illusione, fino al lasciare la presa sulla vita».
Il suicidio resta però un gesto estremo. Perché siamo chiamati a occuparcene?
Perché non è un fenomeno marginale, ma è anzi segno di una sofferenza che è molto più ampia. Pensiamo anche al fatto che ci sono tanti modi di lasciare la presa sulla vita. Basta non curarsi, basta guidare in un certo modo… Gli adolescenti, con le loro scelte, sono all’inizio della vita. E quanto succede deve interrogarci anche sul rischio di disperdere energie nuove. Nelle nostre convivenze, nelle nostre comunità, i ragazzi possono invece portare un desiderio di assoluto, la capacità creativa che è propria dell’originario gioco della vita.
Spesso, però, gli adulti faticano a riconoscere le ragioni di un malessere…
Non si tratta tanto di cercare le cause, o di dare risposte risolutive. Dovremmo invece cercare più relazioni, più vicinanza, lasciando spazio all’iniziativa dei ragazzi. Ma dobbiamo anche saper proporre ai ragazzi spazi in cui abbiano responsabilità, esperienze che abbiano senso, gusto. Andando ancora più in profondità, mi preme sottolineare la necessità che i ragazzi incontrino presto, accompagnati dagli adulti, le grandi esperienze della vita e della morte, della sofferenza e della passione per altri. Per sperimentare che si può stare nella prova insieme ad altri, che si può essere per esempio portatori di una disabilità, o di una cronicità, eppure trovare il senso della vita, costruire relazioni. Così come gli adolescenti devono incontrare anche esperienze in cui la grande passione si fa progetto, si fa solidarietà per altri. Fin da bambini si può scoprire la possibilità di avere emozioni buone, relazioni di condivisione, e allo stesso tempo la fatica dell’incontro con l’altro. Se si lavora su queste dimensioni anche il rapporto con il vuoto, le ombre, le paure che i ragazzi si portano dentro possono trovare degli appigli, delle vie per un’evoluzione.
C’è qualcosa che gli adolescenti possono fare in prima persona? Come possono esprimere la loro energia creativa, o superare l’incomunicabilità della loro sofferenza?
Bisogna riconoscere che l’adolescenza è un grande arcipelago, con esperienze molto diverse tra loro; a seconda dei percorsi personali, sociali, famigliari. Ma ci sono moltissimi esempi in cui i ragazzi manifestano la capacità di spendersi per situazioni di fragilità, per contenere la sofferenza degli altri: nella cura dell’infanzia, nella collaborazione a progetti sociali. Ci sono dunque alcune “isole” in cui hanno già scoperto una propria esperienza, e che possono diventare risorsa per chi sta andando più alla deriva. Pensiamo anche a chi è appena più grande, ai giovani. C’è tutto un circuito di fraternità che si può costruire. E gli oratori hanno in sé questa dinamica di fraternità. La prossima due-giorni (in cui saranno relatori anche don Claudio Stercal e Matteo Lancini, psicologo e presidente della fondazione Minotauro, ndr) vuole dunque essere un’opportunità per rileggere il proprio vissuto con gli adolescenti e, anche, per immaginare forme di relazione nuova.