Da luogo in cui “celebrare” gli avvenimenti sportivi, il piccolo
schermo è diventato capace di condizionare l’agenda e la natura
stessa di alcune discipline. Come sempre, è il calcio a fare
la parte del leone in palinsesti in cui – l’abbuffata-Mondiale
lo dimostra – la parola conta come, se non più, dell’immagine
di Paola Abbiezzi
Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano
La rappresentazione televisiva dello sport si associa alla dimensione dell’agonismo, della festa e della spettacolarità. Elementi che caratterizzano l’esperienza sia di chi pratica lo sport, sia di chi semplicemente assiste a una manifestazione sportiva.
Ne emerge una profonda certezza, ovvero che lo sport praticato dai più si debba confrontare necessariamente con l’immagine che ne viene veicolata dalla televisione. Non solo. La tv è in grado di condizionare addirittura l’esistenza stessa di alcune discipline sportive nell’immaginario collettivo, in quanto i criteri che regolano la notiziabilità dello sport e che rispondono prevalentemente a finalità di tipo commerciale, hanno un peso significativo nella percezione diffusa delle discipline da seguire, di cui parlare, da praticare.
L’universo sportivo ha da sempre trovato una piena coincidenza con le logiche della televisione: la prevedibilità dell’avvenimento unita al fascino dell’imprevedibilità del risultato ha consentito alla televisione di concepire lo sport come un prodotto facilmente integrabile nel proprio palinsesto, e per di più capace di garantire un ampio seguito di pubblico. Per questo la televisione si è confrontata con la messa in onda dello sport fin dalla sua nascita.
Negli corso degli anni, però, il suo rapporto con lo sport è profondamente cambiato: da una televisione luogo autorevole di eventi da celebrare collettivamente, a una tv che ospita quotidianamente piccoli eventi raccontati come se fossero imperdibili, o grandi eventi diluiti nella normalità del flusso televisivo. La materia sportiva, prodotto pregiato conquistato a suon di milioni, viene assoggettata a profonde mutazioni, dettate dalla necessità di ottimizzare l’investimento, per chi l’ha compiuto, o di cavalcare l’onda, per chi non può permettersi il materiale di prima mano.
Ci troviamo sostanzialmente di fronte a due modi di concepire lo sport televisivo: l’uno che parte dalle immagini e che punta sull’esasperazione dello spettacolo e sulla diluizione della materia sportiva all’interno di tutti i generi televisivi; l’altro basato sull’uso della parola, laddove la “chiacchiera sportiva” assurge a formato televisivo, economico e di sicuro successo. Il tutto calato in una logica commerciale che limita il proprio interesse, a parte qualche caso sporadico, alla disciplina col maggiore seguito di pubblico: il calcio.
La popolarità del calcio condiziona dunque la programmazione televisiva, che a sua volta impone un’agenda sportiva che tende a escludere altre discipline, generando un circolo vizioso che si autoalimenta: alcuni sport sono completamente scomparsi dalla rappresentazione televisiva; per il resto il valore-notizia è legato all’universo-calcio, nelle sue diverse dimensioni, indipendentemente dalla prestazione atletica. Ben vengano allora anche gli scandali, dove la materia calcistica si mescola alla cronaca giudiziaria e dove le previsioni possono riguardare indistintamente il mercato e le sanzioni disciplinari.
Proprio la formula “processuale” applicata alla materia calcistica ha condizionato da sempre la trattazione del calcio televisivo che non si esaurisce nella linea informativa. Il dibattito acceso dalla partita trova una collocazione nel calcio parlato, il cui esempio più eclatante è lo storico Processo che ha generato innumerevoli tentativi di imitazione: appelli, revisioni in “controcampo”, talk-show in cui l’argomento viene trattato con toni più o meno accesi, da opinionisti sempre più asserviti al ruolo di personaggi televisivi.
L’abbuffata-Mondiale esemplifica come il palinsesto televisivo sia assolutamente assoggettato alla tematizzazione calcistica. Al di là delle dirette televisive, appuntamenti fissi che mantengono l’antica funzione della cerimonia (selezionata dalla Rai per il grande pubblico, offerta all inclusive da Sky), la vera partita si gioca sui formati: dalla pagina di sport che scombina la scaletta del telegiornale generalista all’approfondimento notturno per i veri appassionati, dal folklore dei servizi di costume alle parodie della Gialappa’s, dai collegamenti in diretta con cronisti visibilmente affaticati alle chiacchiere delle televisioni locali, che abilmente costruiscono il proprio discorso facendo uso solo delle parole.
Il tutto intercalato da spot pubblicitari che evocano il tifo per la Nazionale e da un palinsesto che, nei momenti di stanca, manda in onda un classico del calcio cinematografico, Fuga per la vittoria: quasi che la fuga sia davvero l’unica via di scampo per l’attonito telespettatore.