di Davide PROSPERI
Responsabile della Fraternità di Comunione e Liberazione della Diocesi di Milano
e Alberto SPORTOLETTI
Membro del Coordinamento Associazioni e Movimenti della Diocesi di Milano
Tocca a noi, tutti insieme. La provocazione del discorso di Sant’Ambrogio del nostro Arcivescovo non è allineata coi messaggi pubblici prevalenti sulla pandemia in queste settimane: invito alla passività e alla rassegnazione (vedi la copertina di Time di fine anno: una croce sul 2020 the worst year ever), alla paura dell’incertezza con l’alternanza di comunicati fideistici su nuovi vaccini e allarmistici su terze ondate e mutazioni incipienti. Siamo dunque condannati (per quanto ancora?) a rimanere sospesi sulla difensiva, attendendo tempi migliori per poter vivere davvero, augurandosi che «tutto finisca presto»? Da dove può nascere una speranza e una responsabilità non effimera che reggano l’urto del tempo, come ha evocato monsignor Delpini, che ci aiutino a vivere oggi senza obliterare tutta la nostra umanità? Forse in soluzioni calate dall’alto o nel personalismo del leader carismatico di turno? Perfino l’ottimismo dell’«andrà tutto bene» che ha caratterizzato la tenacia della lotta della prima ondata sembra essersi spento.
Eppure in ogni persona permane un ultimo punto di resistenza, di speranza oggettiva, di fronte a tutto questo. Delpini sottolinea come la storia abbia decretato il fallimento di un io isolato e presuntuosamente individualista. La persona è invece costituita da relazioni, cresce immersa in rapporti di fiducia, in una comunità educante: di qui il compito irrinunciabile dell’educazione di fronte all’inaridimento spirituale emergente.
Sono quanto mai necessari luoghi educativi (famiglia, comunità, associazioni, movimenti, opere di carità, la stessa scuola), che non siano innanzitutto fucine di attivismo e adempimenti, ma ambiti generativi di umanità nuova, in cui il desiderio di verità, di giustizia, di esigenza di utilità per il mondo, di costruzione di una socialità libera e aperta, di intrapresa economica responsabile e innovativa, sia valorizzato e sostenuto. Luoghi e opere certamente imperfetti (chi è il giudice?) ma comunque buoni per contribuire al bene comune. Affrontare i problemi senza riscoprire la natura del soggetto, senza dare spazio al ridestarsi della domanda sul proprio destino significa ridurre ab origine il tentativo e la mossa dell’io. Anche papa Francesco, nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli Tutti, ha più volte sottolineato come non ci possa essere un efficace affronto delle sfide del nostro tempo (ambiente, sostenibilità, sanità, convivenza pacifica, ecc) senza riporsi il problema di una adeguata antropologia.
Lo possiamo rilevare nell’esperienza educativa e sociale: la persona prima o dopo si ribella a ogni tentativo di riduzione e si fa avanti, cioè accoglie la responsabilità a cui è chiamata, solo quando viene raggiunta, toccata da uno sguardo gratuito che la abbraccia per quello che è. Dallo stupore per incontri così nasce una conoscenza nuova di sé e del reale che provoca a una responsabilità, a un tocca a me non sentimentale o muscolare. I gesti personali e collettivi che nascono da questa gratitudine diventano fonte di speranza ed esemplificazioni di una gratuità che tutti percepiamo corrispondente alla nostra natura. Al «si salvi chi può» prevalente nella reattività individualista come in tante visioni politiche nazionali e sovranazionali, si contrappone il «nessuno si salva da solo» di papa Francesco, che emerge dalle tante testimonianze di sacrificio silenzioso e inosservato eroismo quotidiano, elogiate da Delpini in varie parti del suo Discorso.
Una speranza può essere tale, cioè qualcosa di solido e certo in grado di sostenere la vita oggi come una visione condivisa per il futuro, solo in forza di una esperienza presente che non si poggia sulla nostra infinita fragilità, ma sull’instancabile iniziativa del Figlio di Dio che, come ogni anno, anche quest’anno di pandemia, restrizioni e per qualcuno solitudine, viene a ricordarci nel Natale che non dobbiamo temere: Lui è con noi. Tocca a noi perché siamo toccati dal Dio fatto uomo.