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Intervista

«Chiesa dalle genti, puntare sulla relazione»

Suor Luisella Musazzi, moderatrice della Consulta nata dopo il Sinodo minore: apertura al dialogo illuminati dalla sapienza

di Annamaria BRACCINI

3 Gennaio 2021
Suor Luisella Musazzi

Il mondo che si è ritrovato, d’improvviso, tutto «sulla stessa barca», la Chiesa, il dialogo, le nuove frontiere della fragilità. Non vi è dubbio che anche nel contesto di una comunità ecclesiale come quella ambrosiana, che sta velocemente cambiando volto, gli ultimi mesi abbiano posto interrogativi e sfide inedite. Ne è convinta suor Luisella Musazzi, missionaria Comboniana, moderatrice della Consulta “Chiesa dalle Genti” e membro del Consiglio episcopale milanese.

Come parlare di “Chiesa dalle genti” in questo momento?
Gli elementi della nostra vita sono l’alfabeto del dialogo. La fragilità, che è di tutti, è stato il comune denominatore, ma potremmo dire, appunto, anche l’alfabeto con cui ci siamo dovuti e ci dobbiamo confrontare. Papa Francesco ci ha invitato a considerarci tutti sulla stessa barca: non solo un’immagine ispirata evangelicamente, ma dell’attualità, dei nostri tempi, dove sulla stessa barca qualcuno si salva e qualcuno no, dove le barche sono fragili e sopravvive l’ingiustizia. Credo che la pandemia abbia messo tutto ciò più a fuoco. Quindi, se pensiamo in una prospettiva di Chiesa universale – di Chiesa dalle genti -, certamente vi sono realtà di dialogo che superano i confini nazionali e tradizionali. Si sono spalancate le porte di una Chiesa presente negli ospedali, nelle scuole, nei servizi sociali del volontariato, della cura.

È questo il ruolo che può svolgere la Chiesa dalle genti, inteso come processo avviatosi con il Sinodo minore?
La consapevolezza che la Chiesa dalle genti è già presente in mezzo a noi ci può aiutare. Una Chiesa che è l’espressione di questo Regno di Dio non è codificabile in strutture. Ricordo l’invito di papa Francesco a “uscire”, anche come mentalità, per attingere ad altre sapienze, alla sapienza dei popoli, della vita, ad andare oltre il buio. In questo modo, la Chiesa dalle genti può accendere luci di speranza, che non sempre sono visibili nei nostri linguaggi, ma che Dio ha già seminato in questa storia. Dobbiamo aiutarci a uscire dai nostri schemi convenzionali e ad avere l’umiltà dell’amore di Dio che si fa piccolo per incontrare la nostra umanità.

Nel Discorso alla Città 2020 l’Arcivescovo ha richiamato la centralità di un dialogo tra le fedi non autoreferenziale, ma aperto agli altri e all’Altro. Quale iniziativa, a breve, potrebbe sostenere questo confronto vicendevole?
Concordo con la considerazione di sentirci a nostro agio in questa storia, non con un atteggiamento autoreferenziale, ma di apertura agli altri e all’Altro. Prima delle iniziative e dei programmi, come dice l’Arcivescovo nel Documento sinodale, forse occorre assumere un atteggiamento diverso: di ricerca, di incontro, di apprezzamento, di cura della relazione, più che della struttura e delle istituzioni. In questo tempo è ciò di cui abbiamo più bisogno, perché la pandemia ci ha consegnato la nostalgia di queste relazioni più autentiche e più semplici. Noi, tuttavia, abbiamo uno stile molto organizzato, strategie e protocolli, ma forse è venuto il tempo di valorizzare il linguaggio della relazione e della cura come apertura al dialogo e all’incontro. Con la Proposta pastorale di quest’anno l’Arcivescovo ha chiesto di lasciarci illuminare dalla sapienza. La sapienza che Dio ha seminato nella storia e che ci permette di giudicare questo momento con criteri scientifici, umani, di fede, con la luce che viene dall’alto. Penso che iniziative utili possano essere legate all’educarci alla solidarietà, all’uscita, alla formazione di tale stile.

Dal punto di vista privilegiato del “laboratorio Chiesa dalle Genti”, quali sono le urgenze più immediate del dialogo tra cattolici ambrosiani provenienti da molti Paesi diversi?
L’urgenza è la collaborazione. La capacità di mettersi l’uno di fronte all’altro, comunque insieme, per un obiettivo comune, senza rivendicare privilegi, ma cercando quella verità e quei percorsi che ci permettono di andare oltre il buio e di aprire finestre di speranza dentro la stessa Chiesa cattolica e alleanze fra tutte le espressioni della Chiesa. Abbiamo coltivato per anni associazioni, movimenti, comunità etniche, organizzazioni: ora ritengo che sia la cura della relazione a creare e a fare rete.