Nel Discorso alla Città è chiarissimo, e più volte ripetuto, l’invito al camminare insieme, da vivere, con sempre maggiore profondità e attenzione, anche come Chiesa dalle genti. A riflettere su questo aspetto è il vicario episcopale monsignor Luca Bressan: «È un Discorso in cui l’Arcivescovo chiama tutti alla fraternità, al dire “tocca a noi, non tiriamoci indietro”, nel momento in cui tutti sono chiamati a ricostruire le relazioni e quei legami sociali che la pandemia ha sciolto, con il rischio di ritrovarci tutti più poveri e più soli. In tale panorama, l’Arcivescovo indica che la Chiesa non si tira indietro e sta operando un lavoro di rilettura e di rilancio del suo stesso corpo, in un momento di cambiamento, appunto anche sulla scorta di quanto emerso dal Sinodo minore “Chiesa dalle genti”».
Come le ricadute del Sinodo sul territorio possono intercettare questi nuovi cammini e alleanze?
Chiesa dalle genti significa che la Chiesa non si spaventa se si accorge che sta cambiando e in modo forte. In una Diocesi come la nostra e nella metropoli vediamo l’evidenza di tanti cattolici che provengono da molte nazioni, ma assistiamo anche a fenomeni che devono interrogarci, come la diminuzione dei battesimi e del numero di persone che seguono le iniziative ecclesiali e pastorali. Di fronte a tutto questo, l’Arcivescovo sottolinea che la Chiesa coglie questo snodo storico non come un motivo di lamentela o di irrigidimento – magari dicendo «continuiamo a fare quello che abbiamo fatto con più impegno» -, ma ha il coraggio di voler leggere e capire cosa sta succedendo, imparando dal cambiamento e riconoscendo come lo Spirito continua a ravvivarci anche in questo tempo.
Proprio in questo momento così difficile ci sono categorie che soffrono di più, al di là della crisi sanitaria. Come avere una visione di speranza, che è quello che chiede l’Arcivescovo?
Egli cita due volte l’enciclica Fratelli tutti, guardando soprattutto a quei nostri fratelli e sorelle che hanno meno risorse e meno energia per affrontare la crisi. Ovviamente il riferimento è alla povertà economica o alla perdita di lavoro, ma riguarda anche il mondo della disabilità, degli anziani soli, delle periferie esistenziali.
E se si può dire che una delle parole-chiave del Discorso sia “insieme”, non vi è dubbio che la pandemia abbia costretto a rinunce dolorose. Infatti l’ormai tradizionale e atteso incontro tra l’Arcivescovo e le cappellanie straniere quest’anno non ha avuto luogo, anche se nella Basilica di Sant’Ambrogio erano presenti una trentina di rappresentanti delle famiglie cattoliche straniere. Certamente pochi: basti pensare che, negli anni scorsi, la media dei partecipanti era di 130 persone di venti diverse nazionalità, ma appartenenti a un numero assai superiore di Comunità: per esempio, i cattolici filippini ne contano ben nove diffuse sul territorio diocesano. Come questi gruppi etnici hanno vissuto questa mancanza, pur giustificata? «Di solito è un incontro sempre molto partecipato e vivo, anche dal punto di vista affettivo – spiega don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti -. Quindi è comprensibile che quanti avrebbero dovuto parteciparvi ne siano rimasti dispiaciuti. Tanto che qualcuno ha chiesto se, al di là dell’appuntamento ufficiale irrealizzabile, si poteva portare comunque un dono all’Arcivescovo».