In queste settimane è entrata pienamente nel vivo la fase di ascolto del Sinodo minore “Chiesa dalle genti”, con l’arrivo di centinaia di contributi da parte di tutta la Diocesi di Milano.
Tra le varie realtà che sono state interpellate c’è anche il mondo delle Amministrazioni comunali, il cui coinvolgimento non fa altro che confermare l’importanza della stretta collaborazione tra Servizi sociali, Caritas e parrocchie presente già in molti territori e utile per rispondere ai bisogni che emergono per favorire il più possibile percorsi di integrazione. Infatti, anche se l’obiettivo del Sinodo è di aggiornare l’azione pastorale alla luce dei cambiamenti sociali prodotti dai flussi migratori all’interno della Diocesi, non si può prescindere dal ruolo dei Comuni, chiamati per primi a gestire la sfida dell’accoglienza e della solidarietà.
Dai racconti degli Amministratori emergono le difficoltà e i problemi legati alla convivenza tra italiani e stranieri, a causa dei pregiudizi reciproci, spesso alimentati dalla precarietà lavorativa delle fasce medio-basse della popolazione. Tuttavia, nonostante la percezione soggettiva della paura, spesso favorita dai social network, c’è un’Italia che sfugge ai mass media e che, ogni giorno, lavora e vive con gli stranieri, elaborando un vissuto fatto di incontri e di solidarietà. È proprio questa Italia che si legge anche tra le righe delle schede degli Amministratori locali: perché, al di là di tutte le innegabili difficoltà, l’obiettivo principale di chi governa la comunità civile deve rimanere la gestione di una serena convivenza tra culture diverse.
Da qui, pertanto, l’investimento, da parte di molti Comuni, su progetti specifici legati al mondo della scuola, quale primo luogo di educazione, in cui le nuove generazioni, attraverso un processo di conoscenza e rispetto, possano imparare la ricchezza della diversità. O ancora, l’attuazione di strumenti urbanistici che impediscano la creazione di “ghetti”, specie nelle realtà più grandi. A tal proposito, come viene descritto in varie schede, l’accoglienza diffusa in piccoli nuclei è stata importante nel superare le diffidenze reciproche, favorendo una maggiore integrazione.
Da tante buone pratiche emerge inoltre la preoccupazione di mantenere lo stile dell’accoglienza senza trascurare i bisogni dei cittadini italiani e la cura della comunità, perché essa si senta valorizzata e non reagisca dunque con chiusura e pregiudizi. Da qui l’attivazione di tirocini e di percorsi di inserimento lavorativo, realizzati sia per italiani, sia per stranieri, piuttosto che di corsi per la conoscenza delle diverse lingue.
Infine, è interessante notare come la sfida del fenomeno migratorio sia stata affrontata in molti casi in una logica di insieme, attraverso la promozione, da parte delle Amministrazioni locali, di reti di collaborazione con associazioni, parrocchie e oratori per il raggiungimento dell’obiettivo di costruire non un’aggregazione di individui, ma una comunità solidale fondata sul bene comune.