«Ci mettiamo in cammino sinodale per scorgere dentro questi cambiamenti i segni dello Spirito che ci guida dentro la storia». Una Chiesa che si interroga di fronte a una società profondamente mutata negli ultimi decenni per realizzare una «conversione pastorale», come sollecita papa Francesco. È questo l’obiettivo del Sinodo minore «Chiesa dalle genti» che vedrà impegnata nel 2018 l’intera comunità ambrosiana.
Le linee diocesane contenute nel documento preparatorio sono pubblicate nel volumetto «Chiesa dalle genti. Responsabilità e prospettive», che esplicita le motivazioni che hanno portato l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a indire il Sinodo. «Il futuro del cattolicesimo ambrosiano dipende da come sapremo abitare il cambiamento. Per questo il cammino sinodale che stiamo intraprendendo è decisivo», si legge nel documento.
L’attuale momento storico
Una Chiesa attenta ai segni dei tempi. «C’è bisogno di un cammino sinodale per abitare in modo maggiormente consapevole come Chiesa l’attuale momento storico, che vede Milano – designando con questo nome non soltanto la città rigorosamente intesa, ma la sua periferia molto estesa, che sovente indichiamo con il termine “terre ambrosiane” – interessata da cambiamenti evidenti e di grandi dimensioni. Cambiamenti così imponenti da richiedere l’aggiornamento dei nostri stili pastorali alla luce del Vangelo».
Sulla frontiera del cambiamento
È proprio nel Dna ambrosiano stare sulla frontiera del nuovo. «La Chiesa ambrosiana è sempre stata dentro il cambiamento, leggendolo, assumendolo, criticandolo, correggendolo. I cardinali Montini, Colombo, Martini, Tettamanzi, Scola hanno investito energie per mantenere la fede cristiana incarnata dentro un contesto urbano in profonda trasformazione. Attraverso il loro magistero, come pure grazie all’azione di tanti cristiani, hanno ascoltato le domande e saputo rispondere alle tante richieste di aiuto, al desiderio di una vita buona e felice per tutti, cominciando dai più poveri ed emarginati. Il presente Sinodo minore si vuole collocare dentro questa tradizione».
Ma in concreto, di cosa si occuperà il Sinodo? «Il lavoro che si avvia intende essere anzitutto un impegno di riflessione teologica e spirituale, e per questo motivo pastorale: non miriamo a un adeguamento dei servizi e delle strutture come prima istanza, ma a una maturazione della nostra esperienza di fede e di Chiesa».
Tutti fratelli
La presenza di popolazione di fede cattolica, giunta dai cinque continenti, pone ancora più marcatamente alla coscienza di tutti la consapevolezza di essere fratelli, dove la diversità è ricchezza non ostacolo. «Gesù ha dato la sua vita per noi, per le moltitudini, per tutti. Ogni fratello e ogni sorella che incontriamo, a qualsiasi nazione, cultura e civiltà appartengano, sono un fratello e una sorella per cui egli ha dato la vita. Nella Pentecoste, al contrario di quanto le Scritture ci narrano circa Babele (cfr. Gen 11,1-9), si realizza una comunione nuova tra i popoli diversi, che per essere riuniti non hanno bisogno di abolire le loro differenze». Pertanto «il cambiamento profondo in atto nelle nostre terre ambrosiane, riguardo alla presenza crescente di fedeli appartenenti a nazioni diverse, ci chiede di approfondire il carattere universale, cattolico, della Chiesa. La Chiesa particolare è chiamata a vivere come sua dimensione costitutiva l’universalità. Pertanto, è necessario sviluppare nuovi esercizi di contemplazione, per imparare meglio la dimensione inclusiva della fede».
Presenza «profetica»
Una presenza che diventa occasione «profetica», come indicato oltre 25 anni fa dal cardinale Martini. «Osservando con occhi di fede quanto sta accadendo nel mondo, attraverso i grandi processi migratori, ci è data una possibilità nuova per approfondire la nostra vita cristiana. La Chiesa infatti è chiamata anche in questo tempo a testimoniare la salvezza realizzata da Cristo, contrastando con decisione i segni della morte e del peccato, ovvero la divisione e la dispersione». Infatti, «i fedeli migranti sono in cospicua parte anzitutto dei battezzati, membra dello stesso corpo di Cristo, portatori di doni propri. Consideriamo il compito imprescindibile della Chiesa, in particolare della nostra Chiesa ambrosiana chiamata a ripensare profeticamente le proprie forme di presenza sul territorio per essere per tutti segno di unità e di inclusione intorno alla fede e alla preghiera. Interroghiamoci su come le nostre forme di solidarietà e di carità siano effettivamente segno espressivo di una Chiesa dalle genti».
Quale dunque l’obiettivo del Sinodo? «L’obiettivo del cammino sinodale non è soltanto il miglioramento (oggi si direbbe “l’implementazione”) delle nostre pratiche pastorali, ma quello di abitare da cristiani il nuovo mondo che avanza, capaci di una fraternità e di una solidarietà che affrontano con determinazione le sfide poste davanti a noi».
Le paure da superare
Il documento preparatorio non nega le difficoltà, le paure che si stanno diffondendo nell’opinione pubblica complessiva e anche in quella ecclesiale, spesso strumentalizzata a fini elettorali. «La paura è reale: per noi italiani, emigranti fino all’altro ieri e tornati a emigrare in questi ultimi anni, è la paura di vedere vacillare quel margine di sicurezza e benessere faticosamente conquistato; è la paura di vedere sventolare davanti ai propri occhi la condizione in cui potremmo ricadere, se condividiamo benessere e sicurezza con altri. Per i “già arrivati” è la paura che i nuovi arrivati conquistino la propria fetta di benessere presumendo che ciò avvenga senza fatica da parte loro… Per i “nuovi arrivati” è la paura ancora cucita sulla propria pelle per quanto lasciato e per il viaggio intrapreso, nonché per le numerose incertezze del futuro, appesantite dal sentirsi poco riconosciuti da un mondo molto competitivo ed esclusivo. La paura non va banalizzata, né sottovalutata: soprattutto nel suo potere aggregante contro qualcuno o qualcosa. La paura va accolta, compresa e, attraverso la conoscenza e la consapevolezza, va attraversata e lentamente superata».
Le diversità che interrogano
Non mancano freni e limiti attuali anche nella comunità ecclesiale. Ma anche tanti segni di speranza e di comunione. «Sono parecchie le nostre realtà pastorali che ricevono già in questo momento i benefici della presenza di preti, consacrati e consacrate provenienti da altre nazioni, che con la loro dedizione e la loro fede arricchiscono e danno futuro alla nostra Chiesa ambrosiana». E riferito ai fedeli migranti: «La diversità del loro modo di pregare e di celebrare, come pure l’affezione con cui vivono il legame alle loro comunità; la loro voglia di incarnare dentro la cultura ambrosiana le loro feste e le loro devozioni… sono tutti elementi che interrogano la nostra pastorale e la nostra vita ecclesiale, provocandola positivamente».
Vite parallele e meticciato
Strade parallele e “contaminazione”. «In alcuni casi le nostre storie e la nostra vita di fede procedono in modo parallelo, pur condividendo gli stessi spazi e vivendo gli stessi tempi liturgici. Ma in più di un luogo si è aperta la strada dell’incontro: si sono accese pratiche di “contaminazione”, forme di meticciato che, sfruttando dimensioni fondamentali dell’esperienza umana (il cibo, la lingua, la festa, il dolore, il bisogno, i legami, il lavoro, il vicinato), hanno di fatto avviato cammini di condivisione che si vanno consolidando, generando nei fatti un “noi” ecclesiale inedito. Queste buone pratiche di condivisione meritano di essere conosciute e diffuse, perché sono capaci di generare energie per affrontare le sfide che tutti ci troviamo di fronte».
«Il Sinodo minore, come ci ha chiesto in modo esplicito il nostro arcivescovo Mario, si aspetta di apprendere tanto da questo esercizio di ascolto: come questa contaminazione positiva e questo meticciato trasformano la liturgia (la sua preparazione, la sua animazione, la sua celebrazione: si pensi alle comunità cattoliche di rito orientale, ad esempio), la pastorale familiare (in che modo declinare il tema della “famiglia soggetto di evangelizzazione”), il calendario annuale delle nostre comunità parrocchiali, la vita e lo stile dei nostri oratori (e di conseguenza la formazione delle giovani generazioni), così che la diocesi di Milano possa essere veramente una Chiesa dalle genti?».
I frutti per la società
Un cammino che porterà frutti non solo nella comunità ecclesiale, ma nell’intera società milanese e ambrosiana: «Ci è chiesto infatti di portare in modo positivo la nostra fede come contributo a un dialogo che necessariamente va creato e sostenuto nella società plurale, per partecipare alla costruzione del bene comune, operando insieme alle altre esperienze religiose per raggiungere e promuovere una pace che è non semplicemente il risultato negativo di un’assenza di rapporti (e quindi di conflitti), ma il frutto di un incontro che si fa stima reciproca e cammino comune».