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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Testimonianza

Che cosa ho imparato dal virus?

Due motivi di arricchimento: la testimonianza popolare di una fede tenace e responsabile e la convinzione della bellezza di essere prete

di don Luca CIVARDIVicario parrocchiale Santi Cosma e Damiano Concorezzo (MB)

20 Aprile 2020

Credo che una delle domande più ricorrenti e più sensate che alla fine di questa dolorosa esperienza ci sentiremo rivolgere sarà questa: «Che cosa hai imparato?» Nel rispondere ciascuno di noi cercherà di essere sincero, anzitutto con se stesso. Anche io cerco di esserlo e riconosco senza esitazione che sono due le cose che mi hanno arricchito umanamente e spiritualmente.

La prima è la fede della gente: ho visto una santa cocciutaggine nel rimanere presso il Signore, nel cercarlo, nel dialogare con Lui anche in questo tempo di prova. È vero che i numeri sono aridi, ma parlano e ci suggeriscono come interpretare la realtà. Il primo numero è lo zero: nessuno sulle panche della nostra chiesa, nessuno in oratorio, nessuno. La fede della nostra gente è fatta di responsabilità. Ci siamo presi cura gli uni degli altri obbedendo – con sofferenza – alla richiesta di sospendere la partecipazione fisica alla Messa, alle celebrazioni, ai riti pasquali, alle attività dell’oratorio. Zero. Punto e basta. Almeno in apparenza. Ho imparato da voi – che per riprendere una famosa espressione di Sant’Ambrogio mi siete genitori e figli nel sacerdozio – la verità della presenza spirituale alla preghiera comunitaria, la partecipazione reale che supera la distanza fisica, la forza del desiderio che va oltre – non contro – il divieto legale. Qualche prete ha messo le foto dei parrocchiani sulle panche: qui non c’è stato bisogno di farlo per sentire la vostra presenza. Si capiva che c’eravate. Si capiva mentre portavamo sulla piazza il crocefisso nelle prime domeniche di quarantena, si capiva mentre predicavamo insieme con gli altri preti gli esercizi spirituali, si capiva mentre ci stringevamo all’altare per accompagnare don Pino alla porta del Paradiso. Si capiva. Quello zero è diventato una moltitudine di visualizzazioni e di messaggi: una moltitudine fatta dalla vostra fede tenace. Il momento più toccante è stata certamente la processione del Sabato Santo. Vi ho visto: con le lacrime agli occhi, con le mani giunte, sul balcone, dietro le finestre, nel giardino di casa. Vi ho visto e mi sono commosso. Siete stati come una rugiada che feconda l’anima, che la rende capace di germogliare, di portare frutto, di non perdere la speranza. Ai molti messaggi che avete inviato per ringraziare di quello che stavamo – e che stiamo facendo – avrei dovuto rispondere così: ve lo meritate, per come ci avete testimoniato la vostra fede, per come avete risposto agli appelli al volontariato e alla carità, alla solidarietà, senza parole inutili e provocatorie, senza pretese e senza polemiche. Ve lo meritate: siete capaci di educare i vostri sacerdoti! Di questo vi sono – e penso i miei confratelli con me – infinitamente riconoscente: ci volete bene e ci invitate con il vostro esempio a percorrere la via della santità sacerdotale.

La seconda cosa viene dalla prima: sono contento di essere prete, anche e soprattutto adesso. Non mi sento meno incisivo, meno me stesso, meno vero se non posso accogliere i ragazzi uno a uno, se non posso fare il catechismo, se non posso giocare in cortile, se non posso parlare guardandovi negli occhi. Io non mi sento meno prete e sono felice di aver dato a Dio la mia vita per questo. Ho imparato che è bellissimo essere prete. Ne ero già convinto, ma adesso questa convinzione si è fatta certezza: è l’esperienza ad averla resa tale. Sono contento di essere prete: è una gioia pasquale, radicale e rivoluzionaria! È una gioia che non ha bisogno di niente e che sente la propria povertà e la propria piccolezza, ma si riscopre solida e granitica perché realmente radicata nella misteriosa efficacia del Crocifisso Risorto.

Il virus ci ha tolto molte cose e continuerà a farlo per chissà quanto tempo. Voi, però, mi avete mostrato che la fede è una cosa seria, che non viene meno e che non si consuma, neanche nel tempo della prova.