I Magi che seguono la stella e che, così, attraverso i tempi, indicano la mèta del cammino, anche nel terzo millennio, per un’umanità «irrequieta, sfiancata, diffidente, dissuasa dal sognare», convinta da luoghi comuni tanto banali e, proprio per questo, così rassicuranti da non cercare più nemmeno un cammino di speranza verso la terra promessa.
Nel Pontificale dell’Epifania – presieduto in Duomo dall’Arcivescovo e concelebrato dai membri del Capitolo metropolitano della Cattedrale – la vicenda dei Magi diviene, nella riflessione proposta dal vescovo Mario, un modo per interpretare i giorni che viviamo e i suoi miti.
«Gente del mio tempo, perché non sei in cammino? Perché te ne stai seduta nelle tenebre che ricoprono la terra, nella nebbia fitta che avvolge i popoli? Gente del mio tempo, chi ti ha convinta che quando c’è la salute c’è tutto? Chi ti ha persuasa che la generosità sia un azzardo, la compassione una debolezza, che l’amore sia un pericolo, che la promessa per sempre sia un’imprudenza? Perché te ne stai a testa bassa a compiangere la tua situazione?», scandisce, infatti, l’Arcivescovo.
Ovvio il riferimento all’oggi, quando «sembra che il virus, che stiamo combattendo e che cerchiamo con ogni mezzo di arginare, abbia seminato non solo malattia e morte, ma un male più oscuro, una paralisi dello spirito, una specie di sospensione della vita, una confusione sul suo significato, uno scoraggiamento e un senso di impotenza».
Una «constatazione», come viene definita, che può divenire un rimprovero per la nostra Chiesa.
«Il disprezzo che circonda la parola della Chiesa, la noia con cui sono sopportate le nostre prediche, l’indifferenza che rende insignificanti le nostre proposte forse ci hanno intimidito, ci hanno indotto a ridurre il messaggio a qualche buona parola consolatoria. Forse, persino, ci hanno indotto a dubitare di avere qualcosa da dire a questa generazione che sembra preferire la disperazione alla speranza, che preferisce fare a meno di Dio, piuttosto che lasciarsi inquietare dall’invito a conversione».
Ma «forse, sono – siamo – ancora in tempo a ripetere l’invito del profeta, l’annuncio dell’apostolo, l’esperienza dei Magi». Il riferimento è a Isaia, a Paolo nella Lettera a Tito, al racconto dei Magi nel Vangelo di Matteo, le cui parole sono state appena proclamate e cantate nella Liturgia.
«Il profeta, infatti, scuote la sua gente scoraggiata – e noi dobbiamo essere voce di questa profezia -; l’apostolo annuncia l’evento che salva – e noi siamo incaricati di riscrivere questa lettera per il nostro tempo -; I Magi dicono della loro esperienza: “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti per adorarlo”, e noi possiamo ripetere questa esperienza e condividerla con gli altri. Non abbiamo altro da dire che la parola della speranza, la verità di Gesù».
Un messaggio, questo, «inquietante», ma che è «la parola che non possiamo tacere», anche se da Erode in poi, attraverso i secoli, pare che attiri «l’ostilità verso i cristiani di molti in molte parti della terra e che causi reazioni violente e persecuzioni».
Da qui, l’invito. «Mettiamoci in cammino per andare a adorare il re dei Giudei, il Cristo, il nostro Dio e salvatore. Riconosciamo che abbiamo bisogno non solo della salute, ma della salvezza. Cerchiamo un significato della vita, per l’impegno, per la morte. Gesù è la via, la verità, la vita che ci rivela che la vita è vocazione a rinnegare l’empietà e ad attendere la speranza. Cerchiamo un criterio per distinguere il bene dal male. L’opera di Gesù è per riscattarci da ogni iniquità e formarci come popolo puro che gli appartenga. Cerchiamo una ragione, che non sia solo reazione emotiva, per l’impegno, la solidarietà e l’opera di pace. Gesù ci rende pronti per ogni opera buona. Venite ad adorare il nostro Salvatore: non è un’idea, non è una dottrina, è presente, vivo, ci parla, ci chiama. Forse la gente di questo tempo sente quasi umiliante cercare la salvezza in qualcosa che non sia opera delle proprie mani, ma io, e tutti i cristiani, vogliamo proprio fare così e, forse, potremo essere come una stella che offre gioia a gente che sappia alzare lo sguardo».
A conclusione della Messa – in cui viene anche annunciata la data della Pasqua 2021 che ricorrerà il 4 aprile – ancora espressioni tutti coloro che hanno potuto seguire la Celebrazione in televisione sottotitolata e tradotta nel Linguaggio dei segni. «Incoraggio tutti a sentire la responsabilità di essere una stella, perché tutti i popoli riconoscano la presenza di Gesù. Diventeremo, così, un segno nella convinzione di fede che ci induce ad adorare il Signore, nella decisione di seguire i Magi e di fare, della nostra vita, un dono».
Milano
«Cerchiamo una ragione, che non sia solo reazione emotiva, per l’impegno, la solidarietà e l’opera di pace»
In Duomo, l’Arcivescovo, presiedendo il Pontificale dell’Epifania, ha richiamato la responsabilità di essere un segno in questo tempo «in cui il virus ha seminato un senso di impotenza». Annunciata anche la data della Pasqua 2021 che sarà il 4 aprile
di Annamaria BRACCINI
22 Dicembre 2020I Vespri
Alle 16 in Duomo secondi Vespri Pontificali dell’Epifania e Rito dell’Omnes Patriarchae, sempre presieduti dall’Arcivescovo.