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La Pasqua 2023 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Giovedì Santo

«Celebriamo la Pasqua ripensando la nostra missione nella città»

In Duomo l'Arcivescovo ha aperto il Triduo presiedendo la Messa “in coena Domini”, con la lavanda dei piedi a 12 giovani che parteciperanno alla Gmg di Lisbona

di Annamaria Braccini

6 Aprile 2023
La Lavanda dei piedi durante la Messa in Coena Domini del 2023
(Ag. Fotogramma)

La città della confusione, delle masse di turisti e della folla innumerevole senza volto, la città senz’anima da cui, forse, fuggono persino i profeti. Ma anche la città che è adatta per celebrare la Pasqua, come fece il Signore a Gerusalemme.

È la Messa vespertina nella Cena del Signore che, ripercorrendo i momenti iniziali della sua Passione, avvia il Triduo pasquale. Celebrazione presieduta in Duomo dall’Arcivescovo – cui sono accanto, oltre i Canonici del Capitolo metropolitano, il Vicario generale monsignor Franco Agnesi e il Vicario episcopale per la Zona I monsignor Carlo Azzimonti -, che si apre con il Rito della lavanda dei piedi, compiuto su 12 giovani – 5 le ragazze – che parteciperanno in agosto alla Gmg di Lisbona.

Dopo il Rito della luce e la proclamazione delle tre letture peculiari della Coena Domini (dal Libro del profeta Giona, dalla prima Lettera paolina ai Corinzi e dalla pagina della Passione di Matteo), l’omelia dell’Arcivescovo invita con forza a riflettere sulla presenza dei cristiani nella grande città.

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Il richiamo a Ninive

«Questa è la città», dice, infatti, «la casa adatta per celebrare la Pasqua. Forse nessuno se ne accorge, forse la città pensa ad altro ed è indaffarata per accogliere turisti o preparare bagagli per partire, ma noi siamo qui a celebrare la Pasqua e ne siamo lieti».

Il richiamo è a Giona al quale il Signore comandò, «Alzati e va’ a Ninive, la grande città», nell’evidente riferimento alle metropoli di oggi. Quelle «della confusione, dove si può chiamare bene il male e male il bene, dove il guadagno dei ricchi è un merito e la povertà è una colpa, dove l’egoismo che si impone è un diritto e la dedizione fedele nel servizio è una provocazione. La città dell’indifferenza, dove non si aspetta nessun profeta, dove non c’è tempo per nessun Vangelo, dove non c’è fame di nessun pane di vita».

La città che fa paura e dalla quale, tuttavia, non si può fuggire se si segue il Signore, anche se, forse, nella città «malvagia, confusa, indifferente, temibile» sono rimasti solo «gli esperti e i mercanti, i poveri e gli stranieri che nessuno vorrebbe, gente di passaggio che visita i monumenti e poi se ne va, tanta gente che non distingue la mano destra dalla sinistra».

Eppure, questo è anche, per Gesù, il contesto adatto per fare Pasqua: «Non la casa amica di Betania, non la casa paterna di Nazaret, non la casa di Simone in Cafarnao. Gesù vuole celebrare la Pasqua in città, nella città contraddittoria dove si mescolano accoglienze generose e oscure trame di morte».

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L’intuizione di Martini

Come le città, appunto, del presente che un profeta come il cardinale Martini (che non scappò mai) aveva perfettamente intuito già nel 1991, proprio nella lettera intitolata Alzati, va’ a Ninive, la grande città. Scritto che monsignor Delpini cita e in cui l’allora Arcivescovo scriveva: «Occorre affrontare con urgenza il compito di una nuova, coraggiosa e coerente evangelizzazione anche nella metropoli moderna». Un tema – questo – definito «molto importante e complesso», per cui «la visita pastorale (attualmente in corso a Milano) offrirà forse spunti per ripensare la missione in città che la nostra Chiesa ambrosiana deve affrontare», suggerisce ancora l’Arcivescovo. «Questa celebrazione ci trova riuniti come gente che non è fuggita via dalla città. Non siamo profeti migliori di Giona, non siamo persone rimaste solo per dovere. Siamo discepoli imperfetti, eppure sinceri che si domandano cosa stanno a fare in città e perché Gesù manda i suoi discepoli in città. Forse in città non ci sono profeti. Certo, però, ci sono comunità che celebrano la Pasqua».

Missione e fraternità

Da qui la conclusione. «Ne ricaviamo, quindi, due indicazioni per celebrare la cena del Signore: mangiare con Lui la Pasqua – la partecipazione alla sua missione, con la condivisione della sua preghiera e del suo strazio – e la fraternità praticata in semplicità».

Dopo altri momenti suggestivi come quello nel quale i pueri cantores della Cappella musicale del Duomo si dispongono intorno all’altare maggiore cantando l’antifona ambrosiana che introduce solennemente alla liturgia eucaristica, al termine della celebrazione, l’Eucaristia viene portata in processione presso l’altare laterale della Riposizione dove resterà fino alla Veglia pasquale.

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