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Buccinasco

Cascinazza, cinquant’anni di preghiera e lavoro

Compie mezzo secolo il Monastero dei Santi Pietro e Paolo, che vive secondo la Regola di San Benedetto. In un’esperienza intrecciatasi anche con Cl, alle attività agricole si è aggiunta recentemente la produzione di birra. Martedì 29 giugno Messa con l’Arcivescovo per la comunità

di Annamaria BRACCINI

27 Giugno 2021
La Cascinazza

Sono trascorsi cinquant’anni dalla sua fondazione, il 29 giugno 1971, quando sorse come tentativo di rinnovamento dell’esperienza monastica benedettina, secondo la Regola, le indicazioni del Concilio Vaticano II e le esortazioni di Paolo VI rivolte agli abati negli anni Sessanta. È il monastero dei Santi Pietro e Paolo – La Cascinazza di Buccinasco, dove proprio il 29 giugno l’Arcivescovo presiederà una celebrazione eucaristica riservata alla sola comunità. Padre Sergio Massalongo, classe 1949, priore dal 1995, racconta: «Tale desiderio di rinnovamento fu raccolto da padre Bernardo Cignitti, che era l’abate del monastero di Finale Ligure, ma a questa proposta aderirono solo tre monaci. Però vi erano vocazioni pronte ad aderire, per cui il 29 giugno 1971 venne inaugurata questa casa».

Come si arrivò alla scelta della Cascinazza?
Dopo molte ricerche infruttuose, questo luogo, che apparteneva alla Biblioteca Ambrosiana ed era stato segnalato all’abate Cignitti da alcuni amici, venne giudicato adatto, anche se era allora una cascina quasi disabitata e fatiscente.

Come questo cammino si è intrecciato con quello di Comunione e Liberazione?
Già dalle origini, insieme ai tre monaci anziani, nel movimento di Cl c’erano vocazioni interessate alla vita monastica, ma che non avevano un luogo dove vivere questo carisma. Così nacque l’idea della fondazione della Cascinazza da parte dell’abate Cignitti, che trovò subito l’adesione e la stima di don Giussani.  Purtroppo due mesi dopo l’inaugurazione l’abate morì e la comunità rimase senza un superiore. Per una decina d’anni si andò avanti con alcune difficoltà, finché nel 1981 il cardinale Martini riunì i monaci rimasti, costituendoli in una Pia Unione, e accadde un grande miracolo: l’1 maggio 1990 fummo riconosciuti, con l’assenso della Santa Sede, come «Priorato sui iuris di diritto diocesano»: è stata la prima esperienza con questa formula a livello mondiale.

Quanti sono oggi i monaci e come si svolge la vostra giornata?
Siamo 23: 17 professi definitivi, 3 professi temporanei e 3 postulanti; l’età media è di 45 anni. Viviamo secondo la normale Regola di San Benedetto, alzandoci alle 5 del mattino e terminando la giornata – che si compone di sette momenti di preghiera e del lavoro materiale – alle 21.

Quali sono le vostre attività produttive?
Nel 1971 abbiamo assunto la condizione, tipica di tutte le cascine lombarde, adattandoci a quello che il territorio offriva: avevamo una stalla – io stesso ho fatto il mungitore per 6 anni – e lavoravamo diversi ettari di terra. Intorno al 1990 abbiamo svolto altri lavori per mantenerci, finché, circa 15 anni fa, ci siamo recati in un monastero trappista in Belgio per imparare l’arte dei birrai. Così siamo diventati il primo monastero in Italia a produrre birra.

Di quali spazi si compone il Monastero?
Abbiamo la chiesa, l’aula del Capitolo, le stanze dei monaci, la biblioteca, che conserva volumi utili anche per i corsi che organizziamo. Manca una foresteria, quindi, finora abbiamo potuto ospitare solo studenti per brevi periodi. In questi ultimi anni invece abbiamo pensato all’ampliamento, sia per l’accoglienza, sia per i monaci, e presto si inizieranno i lavori per questo scopo.