«In ogni azione bisogna considerare, oltre l’azione stessa, il nostro
stato presente, passato, futuro, e quello degli altri ai quali essa
interessa, e vedere la connessione di tutte queste cose».
Blaise Pascal (1623-1632), Pensieri.
Pensare agli altri, oltre che a se stessi e alla propria sicurezza, è ciò che più mi colpisce nelle parole del grande matematico e teologo francese, Blaise Pascal. Vivo e lavoro da tre anni a Milano e mi sento già parte di questa città. Sento la straordinarietà della Festa di Sant’Ambrogio in questo tempo diverso, strade vuote, persone in casa, famiglie in difficoltà, terapie intensive colme, lutti e incertezze che pesano nel volgere lo sguardo verso il futuro. Nella Fondazione Don Gnocchi ho trovato un insegnamento: non lasciare nessuno da solo, essere vicini a tutti, a chi è reputato incurabile, a chi ha bisogno di aiuto, medico certamente, ma anche morale.
Il Covid-19 appare come un nemico che ha invaso gli spazi della città incrinando fiducia e certezze. Sappiamo che verrà sconfitto, ma per combatterlo è importante che continui lo sforzo di ognuno di noi.
Per ispirarci, quale miglior esempio possiamo ricevere, se non quello delle persone di buona volontà che operano dalla loro postazione, reagendo allo sconvolgimento della realtà compiendo il loro dovere, a sostegno della comunità e lavorando con modestia e passione, non solo nella sanità, ma anche a tutti gli altri servizi necessari al funzionamento della città?
La pandemia ci ha insegnato che il nostro comportamento conta e ha conseguenze non solo per noi stessi, ma anche per tutti gli altri: nella frammentarietà degli interessi particolari, è necessaria, vitale, una visione unitaria. Mai come oggi la rete sottile che ci collega non può in alcun modo essere recisa. Il confinamento ci ha permesso di riscoprire il senso di appartenenza al nostro territorio.
Oggi le persone anziane, quelle con malattie croniche o che soffrono di disabilità, hanno bisogno di aiuto più di prima, sono più indifese e “fragili”, rischiando di diventare “vulnerabili”. Ho voluto virgolettare questi aggettivi perché il nostro dovere di scienziati è quello di cambiarli di segno, rendere più forti i fragili, più solidi i vulnerabili attraverso la ricerca scientifica. Siamo nel mezzo della transizione digitale e in una rivoluzione tecnologica importante: perché non pensare allora di mettere a frutto ciò che di nuovo viene dalla scienza, affinché si possa costruire una società migliore e più solidale che sostiene le persone fragili? Una nuova tecnologia dev’essere anche un modo per rispondere alla crisi esprimendo sentimenti umanissimi, fratellanza e vicinanza.
Il mio punto di osservazione di scienziata viene dall’esperienza nella medicina della riabilitazione e dell’assistenza personale, settori che stanno vivendo un nuovo sviluppo grazie a risultati scientifici straordinari, che possono consentire a persone con cronicità di vivere a lungo e bene. La fragilità non è una condanna inesorabile, ma una condizione da sostenere con appropriate soluzioni mediche e scientifiche. La disabilità non è una caratteristica della persona, risulta da ostacoli posti dalla società.
Dai vaccini ai dispositivi per la protezione individuali, fino ai sensori, alla robotica e alla telemedicina, oggi abbiamo una grande opportunità per combattere la fragilità e per adottare in una città come Milano tutti gli strumenti possibili per monitorare le persone croniche, contenere gli effetti dell’infezione, evitare il contagio e stare vicino alle persone fragili.
Possiamo mettere in pratica un laboratorio di soluzioni tecnologiche e organizzative, un nuovo umanesimo scientifico, che porti l’evidenza scientifica come metodo e l’umanità come obiettivo. Combattiamo per dare fiducia alla scienza e alla nostra umanità per trovare una soluzione alla fragilità, dare lavoro e trovare opportunità per i nostri giovani per impegnarsi a costruire la città del domani con i servizi del futuro, con la rete territoriale per stare vicino a chi è solo.