La notizia della morte di don Franco Carnevali mi era giunta così improvvisa da non riuscire a comprendere quel messaggio di WhatsApp che mi era arrivato. Era il 22 marzo 2020, nel primo pomeriggio. Un anno è trascorso da allora, e quanti altri presbiteri ambrosiani ci hanno lasciato a causa di complicazioni dovute al Covid 19!
L’ho accompagnato nel suo ultimo viaggio, prima della tumulazione a Legnano, nella cappella dei preti. Ricordo la sosta per la preghiera di suffragio nel silenzio di una città in lockdown sul piazzale di san Domenico, la chiesa del suo battesimo, del suo cammino di fede da ragazzo e della sua prima santa Messa. Dopo qualche tempo sono tornato in quel cimitero e mi ha sorpreso e commosso la scritta posta sulla sua tomba: «Mons. Franco Carnevali appassionato servitore della Chiesa ambrosiana». Si, don Franco lo conoscevo dagli anni del Seminario, era proprio un uomo appassionato, prendeva tutto sul serio: i suoi impegni, lo studio teologico, la responsabilità del gruppo classe 76, anche le partite al pallone.
Ricordo quando, da giovani preti, si andava a Milano in corso Venezia 11 per i momenti formativi e di fraternità, le lunghe discussioni durante il tragitto, con la passione di cercare le modalità più belle per entusiasmare i ragazzi e i giovani dell’oratorio di San Nicolò in quel di Lecco. Così, quando il suo servizio pastorale si spostò a Milano perché nominato assistente di Azione Cattolica, iniziò a percorrere giorno e notte le strade della diocesi per incontrare i gruppi di Ac col desiderio di formare laici secondo il Concilio. A volte cercavo di consigliarlo, dicendogli di rallentare le corse che faceva, ma mi accorgevo che le mie parole non erano per niente prese in considerazione.
Con la stessa passione don Franco si era messo al servizio della Comunità pastorale San Cristoforo di Gallarate e successivamente come Vicario episcopale di Zona. Quando poi partì come fidei donum nella diocesi di Huacho, in Perù, ricordo il suo forte desiderio di immergersi nello studio della lingua per seguire i gruppi del Vangelo delle piccole comunità di base. La sua passione e il suo servizio sono continuati nella sua ultima Comunità pastorale SS. Trinità d’Amore a Monza.
Don Franco si sentiva realmente servitore della Chiesa ambrosiana. Penso che questo suo modo di vivere il ministero lo abbia imparato dal papà Achille e dalla mamma Milena: una famiglia accogliente e presente nella vita della comunità; in quella casa si trovavano frequentemente i giovani della parrocchia per confrontarsi sui problemi della Chiesa, della vita sociale e politica, oltre a quella sportiva.
All’inizio di marzo ci eravamo incontrati per un pasto frugale. In quella occasione don Franco mi parlò di un testo interessante che stava meditando sulla Apocalisse, per preparare alcune catechesi per gli adulti. In questi giorni, a distanza di un anno, sono andato a riguardare i suoi appunti e ho notato che si erano fermati al capitolo 19,7-8: «Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’agnello; la sua sposa è pronta: le fu data una veste di lino puro e splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei santi».
Ora lo immagino in quella schiera con un vestito di puro lino.