È stato presentato questa mattina a Milano, nella sede di Caritas Ambrosiana, il rapporto «Pavimenti appiccicosi. La povertà intergenerazionale in Lombardia», promosso e curato dalla Delegazione regionale Caritas (vedi qui il testo integrale).
Il rapporto è la prima declinazione regionale della ricerca nazionale, presentata un anno fa da Caritas Italiana, e si basa su evidenze raccolte dai Centri d’ascolto ed elaborate dagli Osservatori delle povertà e delle risorse delle 10 Caritas diocesane che fanno capo alla Delegazione. Oltre a elaborare dati quantitativi, propone testimonianze e approfondimenti qualitativi (qui una sintesi, qui tabelle e grafici).
Come far fronte al fenomeno
«Ci siamo accorti che anche nella regione più ricca d’Italia il problema della povertà come fatica che si tramanda, se non addirittura come destino, è un tema rilevante – ha esordito don Roberto Trussardi (direttore di Caritas Bergamo, delegato regionale Caritas) -. Alle Caritas di Lombardia spetta il compito di fare scelte e avviare progetti che diano risposte concrete al fenomeno. Il Rapporto sottolinea che per spezzare la catena della povertà intergenerazionale i soli aiuti materiali non paiono risolutivi, se non affiancati da accompagnamenti a lungo termine basati su relazioni di fiducia e dall’inserimento attivo delle persone in povertà nelle rispettive comunità. Ciò è fondamentale per superare la sfiducia nel futuro e la convinzione che un riscatto non sia possibile, che spesso attanagliano i poveri, orientandoli a uno stile di vita passivo, basato sull’assistenzialismo».
Operare sulla fiducia
«Come spezzare la catena di trasmissione delle povertà? – si è chiesta Vera Pellegrino (sociologa, consulente di Caritas Italiana, curatrice della ricerca insieme a Meri Salati) –. Anzitutto potenziando le opportunità scolastiche, educative e formative, soprattutto in alcuni ambienti, come le periferie urbane. Poi, provando a incidere sull’offerta di lavoro dignitoso, perché la presenza di working poor è forte, e operando sulla fiducia, da parte delle persone in povertà, rispetto al fatto che un buon lavoro possa realmente cambiare la loro vita. E intervenendo infine sulla “narrazione di sé” che i poveri fanno, per superare lo stigma di cui sono vittime e l’autoesclusione che arrivano a infliggersi, attraverso il potenziamento dell’autostima e della partecipazione alle reti comunitarie»..
Lavorare in rete
«Un monito fornito da questa ricerca è che la povertà interessa tutti, essendo penetrata in profondità nelle nostre comunità – ha osservato Davide Maggi (economista, Fondazione Cariplo) -. Il cambiamento d’epoca in cui ci troviamo impone di affrontare questo fenomeno, di estrema complessità, non in ottica riformativa, ma trasformativa. Creando logiche connettive tra tutti i soggetti (istituzionali, sociali, comunitari) che devono affrontarlo: bisogna lavorare in modo coordinato sulla capacitazione, soprattutto dei giovani, affinché provino ad andare oltre il condizionamento derivante dalla povertà della propria famiglia d’origine».
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