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Covid-19

Caritas e Focsiv insieme contro la “pandemia della fame”

La campagna «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» in aiuto ai Paesi poveri, per sensibilizzare i cristiani e finanziare progetti in Africa, Asia, America ed Europa dell’Est. Parla Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana

di Patrizia CAIFFA

24 Luglio 2020

Una grande campagna nazionale per aiutare i Paesi più poveri ad affrontare l’impatto socio-economico delle misure prese a causa del Coronavirus, che dopo il problema sanitario rischiano di trasformarsi ora in una “pandemia della fame”.

L’impatto del lockdown ha aumentato infatti le disuguaglianze: secondo il World food programme (Wfp) delle Nazioni Unite il numero delle persone affamate potrebbe raddoppiare. Il 55% delle persone nel mondo è in difficoltà per l’accesso al cibo, alla salute, al lavoro dignitoso e si ritrovano privi di tutele e ancora più vulnerabili. Un miliardo e 600 mila bambini hanno smesso di andare a scuola e molti non vi torneranno. Secondo il Wfp almeno 135 milioni di persone sono in condizioni di insicurezza alimentare acuta che derivano dalle misure di contenimento messe in atto nei vari Paesi.

Per questo, come sta accadendo in altri Paesi, Caritas italiana e Volontari nel mondo-Focsiv, attraverso le sue Ong consociate, hanno deciso di unire le forze in una alleanza intitolata “Insieme per amore degli ultimi”. La partenza ufficiale della campagna intitolata “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, è l’8 luglio, anniversario della visita di Papa Francesco a Lampedusa. Avrà un sito dedicato  da cui sarà possibile scaricare materiali informativi ed effettuare donazioni. Lo scopo dell’iniziativa, che durerà 7 mesi, fino a gennaio 2021, è infatti duplice: sensibilizzare le comunità cristiane, associazioni, scuole, università, persone di buona volontà e raccogliere fondi per finanziare una settantina di progetti di emergenza in Africa, America Latina, Europa dell’Est, Asia, compreso il Medio Oriente. Ne parla Paolo Beccegato, vicedirettore vicario di Caritas italiana.

Quante richieste di aiuto vi sono arrivate e cosa vi chiedono?
Abbiamo già selezionato 60/70 progetti di emergenza che ci hanno mandato le Chiese locali e le Ong, con un occhio particolare ai Paesi più poveri e più colpiti dal coronavirus in America Latina, Africa, Asia, Europa dell’est. Anche con la possibilità di aggiornarli con l’evoluzione della pandemia. Questi Paesi non hanno le risorse che ha l’Italia, né hanno il sostegno dell’Unione europea. Vista la velocità con cui la pandemia colpisce e cambia aggiorneremo i progetti a seconda dell’evoluzione del virus. Nei Paesi più poveri, oltre al problema sanitario, ci segnalano che l’impatto più significativo è di carattere sociale ed economico a causa del lockdown, perché le persone sono state costrette a stare chiuse in casa anziché uscire ogni giorno a cercare il cibo. Per questo il tema principale della campagna sarà la fame procurata dalla pandemia. Inoltre tutti i progetti di sviluppo delle Ong della Focsiv e delle Caritas di tutto il mondo hanno dovuto tener conto della pandemia e ci si è dovuti riorganizzare tempestivamente con mascherine, guanti e misure di distanziamento sociale. Tutti i progetti hanno quindi subito rallentamenti e chiesto aiuti di emergenza per poter proseguire con i necessari accorgimenti.

La maggior parte dei progetti da quali aree provengono?
Anche se non è stato un continente particolarmente colpito dal virus abbiamo una prevalenza di progetti dall’Africa, perché bisogna considerare il contesto: qui l’emergenza alimentare è prioritaria. Si tratta di progetti per aiuti alimentari, perché chi viveva alla giornata di lavoretti ora non riesce a procurarsi il cibo. Poi ci sono progetti che riguardano i mezzi per procurarsi il cibo. Ci sono tante piccole realtà, cooperative, gruppi di persone più vulnerabili, che hanno come obiettivo quello di dare dignità al lavoro. In questi casi si punta a dare un reddito per qualche mese anziché distribuire direttamente cibo.

Sarà una campagna di lunga durata, perché?
La campagna andrà avanti 7 mesi, da luglio a gennaio, perché si prevede che la pandemia e i bisogni a causa dell’impatto sociale ed economico dureranno a lungo. Inoltre alcuni Paesi che all’inizio non erano colpiti stanno avendo ora il picco di contagi, come il Guatemala e il Brasile in America Latina e l’India in Asia.

Vi siete dati un obiettivo per la raccolta fondi?
Non abbiamo fissato un obiettivo, ma per noi è realistico puntare a un  milione di euro, per dare una prima risposta ai bisogni più urgenti, anche se la somma del valore di tutti i progetti è molto più alta.

 

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