Se la “scelta religiosa” dell’Azione cattolica di Vittorio Bachelet ci stimola a riflessioni illuminanti riguardo alla larghezza della vocazione cristiana dei laici, il secondo capitolo, quello della sua tragica morte, ci fa meditare sul mistero della sua fortezza paziente e perseverante. Con una metafora non fuori posto, potremmo definire la morte di Bachelet come una sorta di “martirio laico”, quasi simbolicamente evocatore (autentico “segno dei tempi”) di valori che la parola deve enunciare, ma che solo in una fedeltà discreta possono essere compiutamente vissuti.
“Martirio laico”
Nel mistero della morte il cammino delle scelte religiose e quello del servizio nel saeculum sfocia al di là delle nostre scelte e dei tempi e dei modi del nostro pellegrinaggio. La forma della nostra morte (specie se si tratta di morte violenta) non è affidata alla nostra libertà, al nostro discernimento e alla nostra scelta, anche se la storia della nostra libertà e delle nostre vie nello Spirito realmente in essa giunge a compimento. Ma spesso la morte, letta sullo sfondo della vita, si fa carica di significati, e per un dono dello Spirito diventa simbolo e richiamo, carisma per la comune utilità.
Ad alcuni cristiani (laici o pastori, di altri tempi e del nostro) questo e chiesto dal Signore nella forma esplicita di un martirio in senso proprio. Quando, in odium fidei, gli uomini minacciano al credente la morte, come esito della sua fedeltà, il Signore si serve di questa minaccia per interpellare il credente, e per chiedergli di raccogliere il tutto della sua vita per la suprema scelta religiosa di una testimonianza incondizionata di fede. Non questo, però, fu riservato a Vittorio Bachelet. Né dal Signore né dagli uomini gli fu chiesto il permesso, né gli fu offerta alternativa. Se consenso gli fu chiesto dal Signore (non già dagli uomini) nell’istante supremo, fu solo di docilità a ciò che era avvenuto. Non fu colpito nell’esercizio delle sue responsabilità ecclesiali, né per esse fu ucciso, né in rapporto esplicito alla sua professione di fede, bensì nel cuore della sua professionalità e della sua fedeltà a servizio della città degli uomini. Anche qui c’è un mistero di pazienza forte e lungimirante.
La vocazione laicale nella Chiesa e nel mondo
In altri momenti, lungo tutta la sua vita, furono assunte quelle decisioni, testimoniati quegli orientamenti, che ci sollecitano a vedere nella sua morte (sempre attraverso il velo dell’implicito) la trasparenza di quel mistero di fede e di amore cristiano che è ogni vocazione laicale nella Chiesa e nel mondo. La quotidiana testimonianza della sua coscienza di credente – lo diciamo di lui, lo dobbiamo poter dire di ogni laico – ha fatto sì che la mediazione del suo servizio alla città degli uomini e la sua dedizione all’amore di Cristo ci si manifestino come una cosa sola.
E in modo particolare la solidarietà con gli uomini, che lo ha fatto trovare disponibile e indifeso nell’Università in cui fu ucciso come in un crocevia dell’umanità, risulta illuminata dall’amplissimo arco della testimonianza delle sue convinzioni di cristiano, e riesce a rifrangere così a noi la solidarietà stessa di Gesù Cristo consegnato e consegnatosi per primo agli uomini, a tutti gli uomini, in una solidarietà senza pentimenti, nella vita e nella morte. La rifrange per una similitudine maturata nella dissimilitudine, perché l’immagine di Cristo si è stampata in lui anche e specificamente attraverso il servizio ai fratelli nella convivenza civile, nella professionalità laica, nella responsabilità statale. Così l’abbiamo vista rilucere nella sua morte dai contorni così “laici”, perché si trattava dei contorni laici della morte di un cristiano.
La fecondità della morte di Vittorio Bachelet, nell’eco dei valori umani e cristiani che si è diffusa, in maniera imprevedibile, attorno alla sua memoria, ha confermato questo profondo radicamento della vita e della morte del discepolo, nella vita e nella morte del Signore. Sono bastate poche parole del figlio, grandi nella loro disarmata lineare semplicità e nella loro assenza di retorica, a far conoscere a tutta la nazione il cristiano Bachelet e l’immagine del suo Signore, realizzata in lui più di quanto non lo avessero fatto dieci anni di presidenza nazionale della maggiore associazione di apostolato laicale (Azione cattolica italiana, ndr).
I capisaldi di una maturità umana e cristiana
L’andamento commemorativo di queste riflessioni non vuole recare retorica dove essa non gioverebbe, anzi guasterebbe. Esso ha, né più né meno, lo scopo di lasciar esprimere dall’eloquenza dei fatti una teologia, una pastorale, una spiritualità del laicato e dei laici. La “lunghezza” della vocazione laicale, della quale si diceva, la fortezza paziente e perseverante prende corpo nella fedeltà professionale, intessuta d’amore per gli uomini e per la loro città. Riconoscere in tale amore fedele, e nello stile di solidarietà e di lealtà che comporta, il volto misterioso ma reale di Cristo Signore, che nei suoi fratelli serve ed è da servire, e vivere con coerenza ciò che si è così riconosciuto, «come vedendo l’invisibile» (Eb 11,27), è il programma di animazione dell’ordine secolare che urge oggi, non meno che ieri, alla coscienza cristiana. Protendere l’amore fino alla misura dell’amore di Cristo, che ci amò fino alla fine (cfr. Gv 13,34) e della misericordia del Padre che non si arrende mai (cfr. Lc 6,36), e discernere pazientemente giorno per giorno le scelte sempre contingenti e umili in cui tale amore vuole essere mediato, sono i capisaldi di una maturità umana e cristiana, personale ed ecclesiale, di cui siamo debitori a lui e a tanti nostri fratelli, al mondo di oggi che può attenderla e la attende da noi.