Una parrocchia dove il 40% dei residenti frequenta la Messa è senz’altro una rarità. Degna di essere esposta in vetrina. L’occhio attento del Sovvenire l’ha scovata. E ha deciso di sostenerla.
Si tratta della cappella del carcere di Varese, presso la quale circa la metà dei 90 detenuti si raduna con regolarità. O, meglio, potrebbe radunarsi – come un tempo – con regolarità. È chiusa, infatti, da tre anni. Inagibile a causa di alcune pesanti infiltrazioni e di una lunga crepa che ne minaccia la stabilità. Il restauro di consolidamento è in carico all’Amministrazione, che deve affrontare non solo questa emergenza. I fondi sono scarsi. E, a oggi, l’intervento non ha ancora un calendario certo.
Sicuri sono invece i 14 mila euro provenienti dall’8×1000 della Chiesa cattolica, destinati – su indicazione del Vicario episcopale di Zona, monsignor Giuseppe Vegezzi – per l’attività della Cappellania del Miogni. Una somma utilizzabile pure per l’acquisto delle panche, delle suppellettili sacre e degli arredi di sacrestia, non appena tutto ciò sarà reso allocabile.
Il cappellano del carcere, don Giuseppe Pellegatta, così racconta: «Da tre anni si celebra la Messa nella sala ricevimento parenti. Portiamo un tavolo posticcio come altare. Di volta in volta bisogna spostarlo. Quando ci sono i colloqui, ovviamente, lo spazio è occupato».
Le pertinenze comuni, in questo istituto di pena, sono poche. Le aule di scuola sono tre. E l’edificio sacro risulta il locale più capiente. Ora precluso. I detenuti hanno scritto persino in Vaticano, lamentando la situazione. Don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, si è incaricato di sollecitare i vertici penitenziari affinché si giunga a una pronta soluzione dell’emergenza.
L’assistenza religiosa – in carcere, come altrove – non si ferma certo alla sola celebrazione della Messa. Ci sono iniziative di preghiera diverse, attività di catechesi, momenti di convivialità. «Il cappellano è cercato – conferma don Giuseppe -. Qui si recuperano tante cose. La fede, talvolta sotterrata nella vita precedente, riemerge. E si cercano un confronto e un conforto. Il riferimento all’Assoluto è occasione pure di solidarietà tra credi differenti. Nella circostanza della morte di un congiunto o di una persona cara, per esempio, i detenuti potrebbero radunarsi per una preghiera anche interconfessionale. Era divenuta tradizione, inoltre, la maratona spirituale “24 ore per il Signore”. Ma senza la cappella tutto diventa più difficoltoso».
Un aspetto, quello della solidarietà spirituale, che anche monsignor Mario Delpini ha percepito visitando lo scorso anno il Miogni in occasione della Pasqua (la foto si riferisce alla circostanza): «Questo è luogo di prova, difficoltà e dolore – aveva detto l’Arcivescovo di Milano -, ma anche di amicizia».
Il Cappellano del carcere è un punto di riferimento per tutti, non solo per i detenuti. Anche per gli agenti di polizia penitenziaria, per i volontari e gli amministrativi. Così come lo è la cappella: sempre accogliente. A patto che sia aperta.
L’8×1000 tifa, col proprio contributo, per una vicina soluzione dell’emergenza.