In questo fine settimana è iniziata la visita pastorale dell’Arcivescovo al Decanato di Carate Brianza, nella V Zona pastorale (in allegato il programma).
«Al nostro Decanato da qualche anno si è aggiunto anche Giussano, prima appartenente a quello di Seregno, ora soppresso – spiega don Sergio Stevan, Decano recentemente confermato -. È perciò costituito da sette entità: 5 Comunità pastorali (Carate, Besana, Giussano, Triuggio e Briosco), una unità pastorale (Renate-Veduggio) e una parrocchia (Velate Brianza). Sono presenti 36 sacerdoti e 4 diaconi (di cui due transeunti, che diventeranno preti a giugno). Abbiamo due comunità religiose maschili, i Camilliani che hanno una Rsa e i Betharramiti, a cui si aggiungono sette comunità di suore. Il Consiglio pastorale decanale è formato da laici impegnati e lavora bene. Ci troviamo diverse volte nel corso dell’anno, una volta come presbiterio, una volta per la celebrazione degli anniversari e in momenti particolari nelle parrocchie. Il nostro, poi, è un Decanato ricco di vocazioni: ogni anno abbiamo almeno un nuovo prete. E la nostra è anche una zona ricca di fede».
Quali sono i principali problemi sociali?
A partire della pandemia abbiamo riletto i principali problemi del nostro territorio in vista della Visita pastorale. L’Arcivescovo infatti avrebbe dovuto venire nel marzo 2020, ma tutto è stato rimandato a causa del lockdown. In questo momento la situazione più difficile è quella degli adolescenti, che devono fare i conti con la noia, il bullismo e diversi atteggiamenti di disagio. In Decanato, già prima della pandemia, abbiamo tre sportelli “Le ali” per far fronte a questi problemi e “Festa”, un gruppo che cerca di coniugare l’attività sportiva con i valori educativi, con un calendario strutturato sulla base delle attività pastorali. I nostri oratori sono ancora punti di riferimento ben frequentati: prima della pandemia eravamo abituati a numeri alti nell’oratorio estivo, anche 1.200 persone. Ci siamo accorti che oggi è necessario promuovere l’educazione per legare i rapporti. Nel nostro territorio i giovani sono molto impegnati in attività caritative, come la consegna dei pasti o del pane alle famiglie più bisognose, e sono sensibili alle proposte della Caritas. Dal punto di vista economico, il nostro è il distretto del mobile e della produzione dei bulloni. Oggi queste realtà non sono più in forma di botteghe, ma di grandi aziende. La Caritas segue molte famiglie, adesso sopratutto italiani in cassa integrazione. I matrimoni sono diminuiti, così come i battesimi.
Quali le sfide per il futuro?
Occorre passare da una fede conservativa a una di scelta. Il nostro ambiente ha tradizioni molto antiche. La partecipazione è sempre stata molto alta, ma spesso è avvenuta solo perché «si è sempre fatto così». In questi mesi, però. abbiamo notato che quello che non ha fatto la predicazione l’ha fatto la pandemia: oggi si partecipa di più per scelta. Chiaramente molto si fa ancora on line, ma si fa perché si vuole. C’è molto bisogno di aiutare la gente a trovare Gesù, di dare testimonianza cristiana, di avere cura di quello che si propone.
Come vi siete preparati per questa visita?
A dire il vero eravamo già pronti l’anno scorso. Ma la pandemia ha cambiato il volto della comunità. Abbiamo fatto momenti di preghiera, di annuncio, incontri nel Consiglio pastorale, nelle comunità e tra i presbiteri. Occasioni che hanno dato la possibilità di aprire una prospettiva su come ripartire. Anche tra i preti del Decanato il clima è molto buono: c’è stima e aiuto reciproco.