L’ospedale è un luogo dove la fede è continuamente provocata: su Il Segno di giugno ne parlano don Tullio Proserpio, da vent’anni cappellano all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, e don Giuseppe Scalvini, cappellano del Policlinico di Milano dal 2014 (prima in Humanitas).
I due cappellani raccontano l’opportunità quotidiana di stare in mezzo alla gente, in quella che loro definiscono «una realtà pastorale ordinaria»: cioè trovarsi dove c’è più bisogno, con molta semplicità e una grande disponibilità all’incontro e all’ascolto.
«È necessario che ogni persona colga una solidarietà, sperimentando una Chiesa in uscita che si mostra vicina e attenta», sottolinea don Tullio. «Se non possiamo incontrarci in quello che crediamo – afferma don Giuseppe – possiamo sempre incontrarci in quello che siamo, persone».
Nella fase delicata della malattia emergono i bisogni veri (e le buone relazioni) e una domanda di senso, spirituale, che interroga la propria vita. «Il fatto di vivere il ministero in ospedale mi dà l’occasione di confrontarmi con altri con le stesse domande che anch’io mi porto dentro – riflette don Giuseppe – perché è un ambito dell’umano e come tutti gli ambiti dell’umano chiede di essere umanizzato. Tutti ci portiamo dentro dei perché».
Cosa può offrire, allora, un cappellano? Un prendersi cura, nella sfida quotidiana di guardare dentro le diverse realtà, a volte drammatiche, e andare a toccare quei fili sottili di speranza che sono sempre necessari.