La paura e le buone pratiche, la diffidenza e il migliore antidoto per superarla che è la conoscenza reciproca e personale. Ancora, l’educazione, la scuola, le richieste alle Istituzioni e l’associazionismo che, in un territorio ricco di società civile, può fare la differenza e indicare cammini virtuosi. E, poi, quella benedizione dell’Arcivescovo di “Casa di Adama” – un appartamento all’interno della Prepositurale di Saronno –, divenuto luogo di accoglienza e integrazione, che pare la più bella traduzione “sul campo” del buon vicinato e di una nuova società dove sia bello vivere insieme. Sì perché il nome dell’alloggio non è stato scelto a caso: è quello che aveva il 31enne maliano Adama Kanouté, che, una volta giunto nel nostro Paese, rimasto privo di ogni sostegno e di percorsi di accoglienza, solo e senza lavoro, vergognandosi di non poter mandare qualche soldo alla famiglia, si è tolto la vita in Stazione Centrale nel maggio del 2017. Una storia triste, che si poteva evitare, che non può rimanere solo cronaca su due righe di un giornale, ma che deve servire da monito per tutti.C’è tutto questo nel primo incontro di “Buone prassi di inclusione”, promosso, presso l’oratorio della Prepositurale di Saronno, dalla Ėquipe Decanale di Pastorale dei Migranti della Zona IV nel contesto della riflessione del e sul Sinodo minore “Chiesa dalle Genti”.
Tra tante voci, analisi, esperienze, i laboratori organizzati nella mattina – incentrati sulle parrocchie, le Scuole di italiano, le Associazioni e i Giovani –, si giunge al primo pomeriggio quando, per partecipare alla discussione, arriva anche l’Arcivescovo che prende la parola. Accanto a lui il prevosto di Saronno, monsignor Armando Cattaneo, il vicario episcopale di Settore e presidente della Commissione di Coordinamento del Sinodo, monsignor Luca Bressan, il responsabile dell’Ufficio per la Pastorale Missionaria don Antonio Novazzi e il responsabile dell’Èquipe Decanale, don Alessandro Vavassori che modera l’assemblea plenaria guidata dagli interventi del ricercatore della “Cattolica”, Davide Samuele Molli e dal politico e amministratore Carlo Stelluti. Ė lui che dice: «Occorre che le strutture di accoglienza siano veramente tali, ma sono indispensabili anche nuovi interventi di una legislazione coordinata a livello europeo. Mettiamoci in rete per far conoscere il nostro lavoro di integrazione, con il diffuso servizio delle scuole di italiano (frequentatissima quella saronnese per cinesi), degli sportelli legali e dei sostegni sanitari e psicologici che stanno aumentando. Vi è necessità di una sensibilizzazione delle Comunità locali per la quale le parrocchie possono fare tanto, essendo anello di congiunzione tra realtà di base e Istituzioni».
Insomma, in territori come quello di Saronno, il bene non manca e lo riconosce anche l’Arcivescovo che, anzitutto, porta il suo ringraziamento e la riconoscenza «per il tanto che si fa». Poi, parla di una sorta di disagio personale di fronte a quelli che definisce «alcuni linguaggi correnti sul tema dell’immigrazione», davanti alla normativa vigente che «condiziona le cose e ai luoghi comuni della stampa quando si parla di migranti e migrazione». Il rischio è di non capire più di che cosa veramente di tratti, rimanendo in un’indeterminatezza e confusione che non aiuta nessuno. «Questo – scandisce Delpini – ci impegna a trovare, anche a livello metodologico, i termini corretti, perché è chiaro che se si rimane nell’imprecisione e fermi alla notizia tendenziosa, si alimenta la paura».
Un secondo punto di disagio riguarda il calcolo del “dare e avere” «che non è certo l’unico criterio per giudicare la società. Costruire un ragionamento sull’integrazione solo a partire da questa logica non è giusto», spiega il Vescovo che suggerisce l’urgenza di comprendere e chiarire, soprattutto a noi stessi, «che idea abbiamo di società e di Europa capendo il fenomeno della mobilità umana. Dobbiamo diffondere un’idea del bene comune e della società del futuro anche se saremo una voce nel deserto. Non basta dire quanto gli immigrati siano utili o servano e quanto ci guadagniamo noi».
Il pensiero torna al ruolo della Comunità cristiana e al bene che già esiste. «Bisogna avere ammirazione e stima per le risorse che abbiamo, essere consapevoli, rimboccarci le maniche sapendo che le leggi non le facciamo noi».
In un tale orizzonte, si evidenzia tutta l’importanza e il significato di indire il Sinodo «per immaginare come sarà la Chiesa dalle genti. Un cammino che non si concluderà tanto rapidamente né facilmente perché vuole ascoltare tutti». Cosa che a monsignor Delpini non pare, oggi, una pratica molto diffusa. «Molto spesso non si riesce ad ascoltare la voce degli altri. Al di là dei bisogni primari, dobbiamo domandarci cosa, coloro che arrivano, hanno da dire alle Comunità cristiane: non possiamo solo interpretarli, chiediamo loro di aiutarci a imparare, per esempio, ad avere figli, a cantare, ad avere speranza. Dobbiamo imparare ad essere Chiesa di tutti lavorando in comune, incontrandoci, facendo insieme carità e il bene. Nella Chiesa formata dalle genti ognuno ha un contributo da dare».
Infine, il rapporto fondamentale con le Istituzioni, «perché una comunità è sempre inserita in un territorio». Anche qui l’invito è a non generalizzare il giudizio negativo sulla politica e a proporre una presenza capace di avere legami con le Istituzioni, «perché chi ha a cuore il bene comune non può ignorare la Comunità cristiana. La responsabilità della Diocesi di Milano è di essere protagonista di questa Chiesa che dobbiamo costruire insieme, essendo promotori di un’alleanza con tutte le forze del territorio a cui noi siamo legati e ma che è di tutti».
Poi, la breve camminata per le vie centrali di Saronno, fino ad arrivare alla Prepositurale dei Santi Pietro e Paolo, nella cui casa parrocchiale il prevosto Cattaneo ha voluto “Casa di Adama ”, ormai già attiva da 1 anno e in grado di ospitare 10 richiedenti asilo. La benedizione dell’Arcivescovo, presenti gli attuali ospiti, e le sue parole sono il suggello migliore di quanto appena detto nel Convegno. «Sono qui per benedire perché ho la persuasione che senza il Signore non possiamo nulla, ma con Lui possiamo fare cose meravigliose. La benedizione è per dire che Dio è nostro alleato».