Sarà un incontro particolarmente significativo e ricco di risonanze quello che si svolgerà lunedì 15 gennaio alle 18 presso l’Auditorium del Memoriale della Shoah e che vedrà il dialogo tra l’Arcivescovo e il Rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib. A definire il senso dell’appuntamento è monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione sociale e presidente della Commissione diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo: «L’incontro si inserisce nella tradizione del dialogo ebraico-cristiano promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana nella giornata del 17 gennaio. Tradizione che si è creata negli ultimi decenni e che vogliamo non solo mantenere, ma incrementare per il legame di fraternità che unisce le nostre fedi».
In questo 2024 il dialogo al Memoriale cade in un momento particolarmente complesso per la guerra in atto in Medio Oriente e per il moltiplicarsi degli episodi di antisemitismo anche nel nostro Paese…
Certamente. Non possiamo non tenere conto dei gravi attentati avvenuti il 7 ottobre dell’anno scorso in Israele e della complessiva condizione di guerra che si è venuta a creare. Per questo riteniamo che questo dialogo indichi che vogliamo testimoniare come, insieme, possiamo far fronte a una situazione nella quale l’odio guadagna sempre più terreno. Inoltre non dimentichiamo che siamo a Milano e, quindi, che dobbiamo anzitutto guardare alle nostre terre, dove si registrano alcuni episodi di cronaca legati a un antisemitismo che si mostra anche a livello culturale. Non a caso la Cei, nei giorni scorsi, ha sollecitato le diocesi a «organizzare iniziative per la Giornata del 17 gennaio alla luce di un’attenzione al tema della speranza contro ogni antisemitismo».
L’incontro vedrà la presenza di altri rappresentanti della comunità ebraica?
L’evento è promosso dall’Arcidiocesi e dal Rabbinato centrale di Milano e sarà aperto a chi vorrà prendere parte all’iniziativa, sia da parte ebraica, sia da parte cristiana. È, infatti, un segno importante che l’evento sia gestito insieme al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, proprio a sottolineare come la fraternità generi cerchi sempre più ampi di relazioni. È un incontro che vuole vedere la partecipazione della società civile e chiamare tutti a riconoscere come l’apporto delle religioni sia essenziale a costruire una convivenza di pace e la ricerca del bene condiviso.
Come si svolgerà l’incontro?
Proprio a sottolineare ciò che ci unisce, la riflessione sarà incentrata sul patriarca Giacobbe, figura biblica cara a entrambe le religioni, che ci è stata suggerita da rav Arbib in un suo recente intervento, dove ha spiegato che «la tradizione ebraica considera Yaakov il patriarca per eccellenza, perché è colui che nei momenti più cupi della propria vita, perso nella notte, da solo, senza niente e senza nessuno, con una pietra per cuscino e per giaciglio, riesce a sognare la scala che arriva al cielo e a cogliere, quindi, la presenza del divino ovunque, guardando al futuro con speranza anche nella disperazione». La riflessione di monsignor Delpini e di rav Arbib si svilupperà a partire dal brano della Genesi al capitolo 28, nel quale si narra che Giacobbe «fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa». Questo è ciò che dobbiamo fare anche noi, sapendo che il legarci a Dio ci permette di immaginare un domani di pace che attualmente si fa fatica a vedere.
Anche un luogo come il Memoriale della Shoah è stato scelto con un’ottica precisa?
Sì, appunto nella logica del non dimenticare, specie a fronte dei rigurgiti di antisemitismo. Il Memoriale, sorto presso il Binario 21 della Stazione Centrale (dove nel gennaio di 80 anni fa furono deportati gli ebrei milanesi), racconta una storia che non può essere dimenticata. Tutti siamo ormai consapevoli che la memoria è uno strumento ineludibile per poter costruire un futuro fatto di convivenza e per evitare, come ci ha detto più volte rav Arbib, che anche parole e concetti fondamentali come quelli che parlano di pace diventino slogan vuoti. A un mese dal 7 ottobre il Rabbino capo di Milano in sinagoga ha parlato di un fallimento educativo globale, che chiede un impegno preciso anche delle religioni, proprio perché crediamo in un Dio di pace.
L’incontro sarà anche un modo per rendere concreto l’appello lanciato dall’Arcivescovo perché tutte le religioni si uniscano nella preghiera di pace (leggi qui, ndr)?
Possiamo dire che sarà il contesto in cui mostrare che quell’appello, appunto, non è un richiamo a parole, ma la chiamata alla conversione di ciascuno di noi in prima persona per cambiare tutti insieme una situazione insostenibile di guerra diffusa, di odio dilagante, di conflittualità a molti livelli. Come ha scritto Arbib nella missiva inviata all’Arcivescovo dopo aver ricevuto il suo messaggio (leggi qui, ndr), «la pace è un bene supremo che, secondo la tradizione ebraica, è il bene senza il quale tutto il resto diventa privo di significato. La preghiera fondamentale dell’ebraismo si conclude chiedendo a Dio di darci il dono della pace. Pregheremo per la pace secondo l’invito dell’Arcivescovo come facciamo ogni giorno e lo faremo con più intensità in questi giorni terribili».