«Augurarci un anno di pace significa impegnarci gli uni gli altri a obbedire solamente all’amore che Dio ha seminato nelle nostre coscienze, a nessun altro, obbedire come ha fatto Gesù. E obbedire non in grandi contesti, ma nella vita di tutti i giorni». È un augurio segnato dalla dolorosa consapevolezza che la “terza guerra mondiale a pezzi” si sia ulteriormente allargata, quello che monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Carità, la cultura, la missione e l’azione sociale, dedica, nel primo giorno dell’anno 2024, a coloro che si riuniscono in Duomo per la celebrazione eucaristica, dopo aver percorso le vie del centro di Milano fino alla Cattedrale, nella marcia tradizionale del 1° gennaio, 57esima Giornata mondiale della pace, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio con l’adesione e la partecipazione di molte altre realtà e a cui prendono parte i ministri delle confessioni aderenti al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano.
La marcia per la pace
Portando il grande striscione che apre la manifestazione, «Pace in tutte le terre», e molti altri cartelli con i nomi – sempre di più – dei Paesi insanguinati da guerre spesso dimenticate, si cammina sostando anche in luoghi particolarmente significativi, come presso la parrocchia Sant’Ambrogio ospitata nella chiesa di San Vito al Pasquirolo, dove l’archimandrita del Patriarcato di Mosca, padre Ambrogio Makar che vi officia il culto, rivolge un breve saluto a tutti i presenti tra i quali tanti ucraini.
Poi, appunto, l’ingresso in processione dal grande portone centrale del Duomo con i fedeli, i concelebranti e i ministri del Cccm, per la Messa presieduta, in rappresentanza dell’Arcivescovo, impegnato nel suo viaggio missionario in Brasile, dal vescovo ausiliare e vicario per la Zona pastorale I-Milano, monsignor Giuseppe Vegezzi. Accanto a lui il vescovo monsignor Giuseppe Merisi, diversi sacerdoti legati al mondo ecumenico e a Sant’Egidio, monsignor Bressan che pronuncia l’omelia, e il responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il dialogo, il diacono permanente Roberto Pagani.
La celebrazione in Duomo
«Da molti mesi ormai, dallo scorso anno addirittura, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto nei nostri mondi per quella gioia e quella pace che gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme. È questo l’effetto che si genera in noi, dopo avere ascoltato il lungo elenco di Paesi che stanno vivendo l’esperienza della guerra. Ci sentiamo in comunione con il nostro Arcivescovo: è comunque unito in preghiera con noi e ci rinnova il suo invito ad essere operatori di pace», osserva, in apertura, Bressan, nella sua introduzione alla celebrazione la cui riflessione si annoda attraverso i riferimenti alle sfide che ci attendono nella testimonianza cristiana.
«Eravamo qui lo scorso anno, impegnati a pregare per la pace e ci troviamo quest’anno con una guerra in più che ci colpisce nella terra protagonista nella Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato».
Una situazione – questa – che, a livello macro, non può far dimenticare «la crisi ambientale e climatica, la fatica economica che è un segno dei tempi, le migrazioni e il meticciato dei popoli e delle culture», citati ancora da Bressan, ma nemmeno tutte le vicende del nostro quotidiano che ci rendono «insicuri», come i fatti di cronaca con i suoi terribili femminicidi.
E, allora, perché riunirsi? «Perché ci accorgiamo che stiamo chiedendoci gli uni gli altri qualcosa di grande che, però, non siamo capaci di realizzare, essendo convinti che invece Dio è capace di dare realtà a ciò che noi riusciamo ad esprimere solo a parole». Così come il Signore ha fatto con il suo popolo eletto salvandolo, nella terra d’Egitto, nel deserto. Uno dei molti deserti che l’umanità di ieri e di oggi si è trovata e si trova ad attraversare, «come l’attuale sfida dell’intelligenza artificiale a cui papa Francesco dedica il suo messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace di quest’anno.
Nasce così una seconda domanda. Come si fa a rimanere nella benedizione di Dio tra gli obblighi che spesso ci fanno sentire impotenti, come quando «ci sentiamo spinti, non si sa bene da quale forza ineluttabile, ad andare verso questa terza guerra mondiale a pezzi». Incapaci di fermarci, di dire no anche a livello quotidiano. È qui che la docilità, fatta della obbedienza e libertà di Gesù che va incontro alla croce diviene insegnamento per ciascuno, modello di comportamento, secondo l’indicazione di san Paolo nella Lettera ai Filippesi appena proclamata e così come lo è la fedeltà «ancorata al quotidiano di Maria e Giuseppe» che portano il Bambino al tempio narrata nel Vangelo di Luca.
L’augurio
«Allora sì, l’augurio con cui abbiamo iniziato questo momento di riflessione diventa capace di farsi carne, diventa quella realtà che è il Figlio di Dio, chiedendo a Dio di portarci il dono della pace». Un’invocazione che monsignor Bressan affida idealmente all’intera Diocesi con le parole dell’Inno di Aronne, «Dio della pace, non ti può comprendere chi semina la discordia Non ti può accogliere chi ama la violenza. Dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito e a chi lo ostacola di essere sanato dall’odio che lo tormenta, perché tutti si ritrovino in Te, che sei la vera pace».
Appello che, a conclusione, prima della benedizione corale con tutti i concelebranti e i ministri delle confessioni cristiane in altare maggiore, sottolinea anche monsignor Vegezzi che ringrazia tutti anche a nome dell’Arcivescovo «per aver pregato insieme».
«La pace nasce nel cuore dell’uomo e c’è bisogno che questo nostro cuore, grazie ai nostri atteggiamenti, al nostro modo di essere discepoli del Signore Gesù, sia il deposito della pace per poterla poi diffondere. Dobbiamo essere benedizione gli uni per gli altri. Sarà allora davvero un buon anno».