«Ci stavano aspettando da tempo, perché qui i preti scarseggiano». È questa la prima impressione di don Davide Chiaramella e don Walter Cazzaniga, quando il 28 dicembre 2022 sono arrivati a Macapà. Dopo il breve sopralluogo in agosto, ricevuto il mandato missionario dall’Arcivescovo, sono partiti alla volta del Brasile. «Qui i preti sono pochissimi – spiega don Davide -, solo 15 della Diocesi di Amapà e altri 30 missionari, tra brasiliani e fidei donum provenienti dall’estero come noi».
Ma quanto è vasto il territorio?
Ha una dimensione enorme per 45 preti. La Diocesi corrisponde a metà dell’Italia, anche se gran parte dello Stato comprende la foresta amazzonica. Però ci sono tante città grandi e piccole che hanno bisogno di essere assistite anche dal punto di vista spirituale: per questo ci stavano aspettando. Non ci sono statistiche, ma credo che la popolazione sia di 50-60 mila abitanti.
Come è strutturata la parrocchia?
Jesu Cristo Resuscitado era parte di un’altra parrocchia ben più grande, gestita a fatica da due preti. Quindi è stata divisa e il 15 gennaio, pochi giorni dopo il nostro arrivo, è stata inaugurata. In città abbiamo 9 comunità, qualcuna molto piccolina, formata da tre famiglie, anche se qui le famiglie sono numerose; altre invece sono grandi e la domenica partecipano alla Messa 200 persone. A noi è affidata la cura pastorale anche di alcune comunità, chiamate dell’interior, che si trovano nella foresta: sono 19 cappelle, di cui tre private perché sono dentro le fazende (azienda agricola, ndr), ma lì celebriamo soltanto in occasione della festa patronale. Quelle che si trovano nei villaggi ricevono visite sporadiche, però in alcuni casi c’è anche la catechesi. Celebriamo matrimoni e battesimi. La nostra è una realtà complessa, con comunità distanti anche 80 chilometri, quindi dobbiamo viaggiare molto per riuscire ad accompagnare anche loro.
Come descrive il vostro impegno pastorale?
Stiamo dando un po’ di regolarità e uniformità ai cammini pastorali, come una classica parrocchia, perché la pandemia qui ha tolto molto, si sono perse tante occasioni di incontro. Le persone faticano a ripartire, hanno bisogno di molti stimoli e di essere accompagnate. Desideravano il nostro arrivo, quindi adesso si lasciano stimolare. È un lavoro lungo e complesso, ora stiamo organizzando meglio i cammini della catechesi e della vita delle comunità. Quest’anno abbiamo celebrato più di 200 battesimi: la maggior parte erano bambini da zero a 7 anni, ma abbiamo avuto anche ragazzi più grandi e adolescenti, oltre a qualche adulto. In realtà i cammini degli adulti sono appena partiti e poi il percorso di preparazione per loro è più lungo, non basta un mese e mezzo come per i bambini.
Qual è il contesto sociale in cui lavorate?
Dipende molto dalla zona, perché la nostra parrocchia abbraccia un territorio di 6 quartieri. In quello in cui abitiamo noi, per esempio, le persone stanno meglio, hanno l’auto, per la maggior parte sono insegnanti, lavorano in ambito pubblico federale, per cui ricevono anche un buon stipendio. Insomma, vivono in condizioni più che dignitose. In altri quartieri invece le famiglie soffrono per mancanza di lavoro, povertà, malnutrizione, più che denutrizione. Non esiste l’assistenza sociale a vario titolo, quindi in questo contesti bisogna lavorare di più a livello caritativo.
Ora la visita dell’Arcivescovo…
Le persone sono di animo molto curioso e accogliente, non vedono l’ora di conoscere l’Arcivescovo di Milano.