La gente è stanca. Nel suo Discorso alla Città, pronunciato alla vigilia di Sant’Ambrogio, l’Arcivescovo lo ha sottolineato più volte, e a ragione. Serpeggia, nella nostra società, e anche nella pur ricca Milano, un diffuso sentimento di smarrimento, soprattutto in chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, a trovare lavoro, a curarsi adeguatamente, in chi è forzatamente solo… Si avvertono timori (non di rado suscitati da interessati profeti di sventura) che rendono la vita pesante, faticosa. Certo non è così per tutti e nelle sue denunce – di ciò si tratta – monsignor Delpini lo sottolinea: perché c’è sempre chi cade in piedi, chi fa i soldi alle spalle degli altri o della giustizia o del bene comune (il Vescovo segnala, tra gli altri, il peccato grave dell’evasione fiscale).
Ma, al fondo, il Discorso rivolto alla città e alla diocesi è un grande messaggio di speranza. La quale chiama a sua volta in causa la responsabilità. Di tutti e di ciascuno.
Responsabilità per la cura della famiglia, di chi è più fragile, delle relazioni, dell’ambiente. Responsabilità che bussa alla porta dei soggetti pubblici (la scuola, la sanità, le istituzioni politiche, le forze dell’ordine, le chiese e le comunità religiose…), senza trascurare di ricordare che il bene lo si costruisce insieme, perché «il tempo propizio per una società amica del futuro» non è impegno delegabile: ognuno deve fare la propria parte.
In questo senso il Discorso di Sant’Ambrogio è attraversato, dall’inizio alla fine, da un riferimento alla politica. Con un accento specifico al tema della pace, oggi ferita in troppe regioni del mondo, vista come contesto entro cui la vita, e la speranza, trovano concreta cittadinanza.
La gente è stanca, dice l’Arcivescovo, «di una politica che si presenta come una successione irritante di battibecchi, di una gestione miope della cosa pubblica. La gente è stanca di servizi pubblici che costringono a ricorrere al privato, di un’amministrazione che non sa valorizzare le risorse della società civile». Ma stanca è anche la terra, quando è sfruttata e impoverita per gli interessi di pochi e, indirettamente, dai nostri stili di vita; la città è stanca di essere abbandonata al degrado. Stanca e invecchiata è la nostra civiltà, che si impone ritmi insostenibili, che adora idoli vuoti di valori, che esclude chi è “diverso” per nazionalità, fede religiosa, genere, età.
Da qui l’appello di segno “politico”: «Non possiamo sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. […] Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale» e questo richiede «uno sguardo contemplativo, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali».
All’indicazione prospettica, Delpini fa seguire alcuni “esempi concreti”, precisi ambiti di azione collettiva, dunque politica, per restituire speranza alla polis: redditi adeguati per le famiglie, sicurezza sul lavoro, riqualificazione delle aree urbane degradate, investimenti nel segno dell’«ecologia integrale», lotta all’usura, riforma del credito, un sistema socio-sanitario accessibile a tutti…
Qui si colloca il capitolo sulla pace: la quale dipende certamente da alta politica e diplomazia, ma anche da una diffusa «educazione alla pace nelle scuole, negli oratori, nelle attività culturali, nella pratica sportiva, in ogni ambito della vita sociale».
Un significativo passaggio del Discorso dell’Arcivescovo è rivolto agli amministratori locali: «Gli amministratori locali sono i più vicini alla concretezza della vita delle persone, alle loro difficoltà e ai loro desideri; il loro compito è spesso arduo e la loro speranza può essere messa alla prova. Chiediamo il dono di una rinnovata capacità di corresponsabilità da parte di tutti, perché chi amministra non sia solo oggetto di attese e pretese. E chiediamo il dono del discernimento per chi ha la responsabilità di prendere decisioni. Perché insieme si possa camminare nella direzione del sollievo che un futuro buono reclama».
Alla comunità cristiana il compito di non lasciare soli coloro che onestamente si spendono nella vita politica. Anche così si dà corpo alla speranza.