Tempo e comunicazione sono i due focus del convegno di bioetica promosso dalla diocesi, ormai un appuntamento consolidato nel mese di ottobre (vedi qui la locandina). L’edizione di quest’anno, in programma sabato 8 ottobre, si intitola infatti «Il tempo della comunicazione è il tempo della cura». Ne parliamo con don Paolo Fontana, responsabile del Servizio per la Pastorale della Salute.
Perché il tema della comunicazione?
Perché è diventato ancora più importante in questo momento storico, in cui le capacità tecniche e diagnostiche in medicina hanno raggiunto risultati altissimi e stanno ancora progredendo. Questo è un bene, naturalmente, ma adesso a fare la differenza nella cura è la capacità di medici e infermieri di entrare in relazione con il paziente, passaggio indispensabile perché il malato si senta davvero curato.
Come è strutturato il convegno?
Analizzeremo il tema su tre fronti, corrispondenti alle tre relazioni della giornata. Nella prima don Stefano Cucchetti, docente di Bioetica presso il Seminario arcivescovile di Milano, parlerà di fiducia, il vero nocciolo etico della relazione clinica. Solo con la fiducia si può costruire una vera comunicazione, un accordo che abbia un fondamento morale, appunto. Altrimenti si tratta solo di una sorta di “galateo”, un insieme di regole a cui ci si può attenere nella relazione medico-paziente, ma nulla più. Attenzione: la fiducia, elemento fondamentale dell’alleanza terapeutica, è sempre biunivoca. È un accordo tacito che prevede che entrambi – sia il medico, sia il paziente – rispettino i loro impegni. Il medico si impegna a curare e ad ascoltare, ma il paziente si impegna a fidarsi, a seguire le indicazioni di cura e a raccontarsi sinceramente.
E qui si arriva alla seconda relazione, quella sulla “narrazione” del paziente…
Esatto. Rita Maimone, coordinatrice delle cure palliative presso la Asst Valle Olona, parlerà di come la disponibilità del medico a entrare in risonanza emotiva col paziente si incontri con la disponibilità del paziente a narrarsi, cioè a non descrivere semplicemente i suoi sintomi, ma a raccontare di sé. Quello delle cure palliative è un ambito privilegiato per parlare di questa dinamica. Il medico che cura i pazienti terminali deve farsi vicino al paziente, interessarsi davvero a lui, senza che questo significhi essere travolto dalla sofferenza.
Come influisce il tempo, altro focus del convegno, in questa dinamica?
Per costruire una relazione come quella che abbiamo descritto ci vuole tempo. Cosa non facile in un sistema in cui il medico ha molti pazienti e deve lavorare con l’orologio in mano…
Infine, qual sarà il terzo pilastro della riflessione di sabato 8 ottobre?
Ci sarà una tavola rotonda nella quale presenteremo alcune esperienze di volontariato in ambito sanitario. La rete del volontariato fa parte a pieno titolo del tempo di cura, anche nel caso in cui non eroghi prestazioni sanitarie. Nel volontariato c’è gratuità, solidarietà, inclusività sociale, sussidiarietà: tutti elementi che fanno parte della dimensione di cura. Il paziente coglie che quel servizio per lui è un tempo di cura, anche se non riceve farmaci.