
«Serve ripartire dalla questione antropologica, per una finanza più umana e sostenibile, che possa affrontare le sfide del presente dalla polarizzazione sociale ed economica alla sostenibilità ambientale». Lo sostiene Elena Beccalli, economista e rettrice dell’Università cattolica, riflettendo sul Discorso alla Città.
«I fenomeni del sovra indebitamento, del precipitare in condizioni di vita indegne della persona umana devono essere affrontati. Il sistema del credito ha qualche cosa di malato, se invece di incoraggiare la buona volontà di chi cerca di uscire dalla povertà esclude con spietata indifferenza i poveri», scrive l’Arcivescovo nel Discorso. Lei che, come economista e rettrice dell’Università Cattolica, conosce bene il panorama italiano e anche internazionale del mondo creditizio e finanziario, concorda con questa analisi?
Il sistema del credito nasce con una chiara finalità: finanziare progetti imprenditoriali e di vita. La nobile attività del banchiere consiste nella sua essenza nel selezionare prenditori del sistema economico reale che hanno bisogno di risorse finanziarie per sostenerne progetti meritevoli. Per rispondere all’appello dell’Arcivescovo nel suo Discorso alla Città 2024, l’accademia e gli operatori di settore sono chiamati a riprendere la questione della natura stessa della finanza. Infatti, uno degli errori più comuni consiste nell’inversione tra mezzi e fini: specie con riguardo al rapporto tra economia reale e finanza. In un contesto in cui la finanza è pervasiva, potremmo dire dominante, da “mezzo” diventa il “fine”, invece è chiaramente un mezzo. Il fine ultimo è la persona. Però, in questa epoca, più un mezzo è potente più tende a essere percepito come il fine. La prevalenza della finanza sull’economia reale e, quindi, della rendita di capitale sul reddito da lavoro, con una “inversione di ordine tra mezzi e fini”, è fonte di derive, collassi e crisi. Come efficacemente affermato da papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, «il denaro deve servire, non governare!». Il nuovo paradigma economico, che io stessa invoco nel mio ultimo libro Per una nuova economia, poggia sulla persona e sulla sua indole relazionale e che ben valorizzi le dimensioni dell’etica, della fiducia e della cooperazione. Serve dunque ripartire dalla questione antropologica, per una finanza più umana e sostenibile che possa affrontare le sfide del presente dalla polarizzazione sociale ed economica alla sostenibilità ambientale. In ambito bancario, questa rinnovata attenzione alle finalità proprie della finanza è particolarmente urgente alla luce delle crescenti situazioni di difficoltà e sovraindebitamento. I principali indicatori concordano nel mostrare anche in Italia un innalzamento delle situazioni di sovraindebitamento e di usura, peraltro difficile da intercettare. Per esempio, secondo elaborazioni sui dati della Centrale dei rischi, nel 2023 le famiglie in ritardo nel pagamento di almeno una rata di un mutuo a tasso variabile sono state circa 127 mila, ossia lo 0,5% del totale delle famiglie italiane e l’8,1% di quelle con un debito di questo tipo. Siamo alle prese con una congiuntura economica di difficile lettura prospettica e anche a nuove forme di credito, sempre più pervasive, abilitate dalla tecnologia (buy now pay later). In questo contesto autorità e operatori sono chiamati a vigilare su un “fenomeno invisibile”, ma che impatta sulla dignità della persona e anche sulla collettività portando a forme di disgregazione sociale.
«Faccio appello a considerare con serietà le vie per il condono dei debiti, per forme di alleanza, di mutuo soccorso, di ripensamento del sistema bancario, perché troppa gente è disperata e troppe situazioni favoriscono l’immissione di denaro sporco e condannano a entrare negli ingranaggi perversi dell’usura», aggiunge monsignor Delpini che, già in un incontro da lei promosso con la presenza dei presidenti delle più importanti Fondazioni bancarie del Paese, aveva accennato ai pericoli provenienti dal flusso di denaro sporco in una città attraente come la nostra. Milano, oggi, ha gli “anticorpi” per reagire?
Milano è la capitale finanziaria del Paese e nella sua storia ha dimostrato di dare impulso a nuove forme di attività bancaria orientate alla solidarietà sociale. Basti pensare alle casse di risparmio – e tra queste a quella lombarda, Cariplo – la cui finalità era primariamente di carattere sociale, ossia incrementare la propensione al risparmio delle famiglie, soprattutto delle più povere incoraggiandole a perseguire una propria autosufficienza finanziaria per impedire che cadessero preda di usurai. La finalità consisteva nel salvaguardare il risparmio per accompagnare lo sviluppo locale, rivolgendosi in particolare alle classi meno abbienti e meno consapevoli delle questioni finanziarie, attraverso strumenti come i libretti di risparmio. Basti qui ricordare che l’idea di quella che oggi è la Giornata mondiale del risparmio nacque a Milano durante la prima Conferenza Internazionale delle Casse di Risparmio nel 1924.
Esperienze del passato i cui principi trovano attuazione ancora oggi. Si pensi all’esperienza del credito cooperativo o del credito di soccorso, vale a dire credito erogato a persone in difficoltà in stretta collaborazione con corpi intermedi, come per esempio i Centri di ascolto, le Caritas e le Fondazioni diocesane aderenti alla Consulta nazionale antiusura Giovanni Paolo II. Grazie allo stretto legame territoriale e sociale, la banca eroga prestiti destinati a famiglie che altrimenti sarebbero escluse dal credito bancario per sostenere progetti di rinascita, attraverso erogazioni di credito vagliate dagli analisti professionisti della banca. Una tipologia particolare di prestito intesa a restituire dignità e opportunità adeguate a persone che sperimentano fragilità. Il prestito di soccorso richiama molti dei tratti illustrati nell’esperienza delle parish communities scozzesi, ossia l’esperienza di comunità parrocchiali con caratteri che diventano portatori di un nuovo modo di fare credito. Tra i caratteri principali si ricordano la conoscenza della singola persona e delle cause delle sue condizioni di fragilità, la condivisione di principi etici che determinano forte coesione dei fruitori del prestito di soccorso, le radici comunitarie di questa attività economica. Recuperare queste idee originarie, attualizzandole al nostro contesto, è la responsabilità che siamo chiamati ad assumere, specie a Milano, città che ha dato prova di essere in grado di intercettare esigenze e dare risposte concrete.
Nel Discorso si dice con molta chiarezza, seguendo la Dottrina sociale della Chiesa, che «la ricchezza onesta è una responsabilità sociale» e che «molte cose possono fare coloro che hanno ricchezze». Tra i suggerimenti che l’Arcivescovo propone per tale uso, quale le sembra il più urgente?
Farei mia la proposta dell’Arcivescovo di intendere il profitto, conseguito con la collaborazione e la fatica di tutti, come una risorsa per ognuno, non solo come un dividendo per arricchire gli investitori. In effetti il nuovo sguardo sull’economia e sulla finanza è chiamato a enfatizzare una concezione integrale e sostenibile, superando la logica di mera massimizzazione del profitto e aprendo la strada all’ottimizzazione del valore.
Per esempio, pensando agli investimenti finanziari, l’obiettivo dell’investimento va oltre la semplice massimizzazione dei rendimenti e diventa invece l’ottimizzazione del rendimento. L’etica deve essere considerata un elemento della funzione obiettivo dell’investitore, e non un vincolo. Ciò implica il passaggio dalla massimizzazione del rendimento all’ottimizzazione del rendimento. L’etica diventa cruciale per la funzione obiettivo dell’investimento. Questa è la vera rivoluzione culturale e teorica. Molti nel mainstream economico ora accettano che l’etica debba essere presa in considerazione, soprattutto per ottenere risultati sostenibili. Tuttavia, il mainstream economico non accetta che l’etica sia una componente della funzione di investimento dell’investitore. Troppo spesso l’etica rimane un optional, o un vincolo da affrontare, quando si persegue la sola massimizzazione del rendimento.
Il Giubileo, come tempo di grazia e di ripensamento, può essere un’occasione anche laica per gesti che non siano solo simbolici, come per esempio quello auspicato dall’Arcivescovo per dare una casa dignitosa a tutti?
Un’iniziativa simbolica per dare una casa dignitosa a tutti credo possa trovarsi nel “debito ecologico”, come esplicitato dal Santo Padre nella Bolla di indizione del Giubileo (n. 16). Nei decenni di intensa globalizzazione uno degli aspetti che ha caratterizzato i modelli di crescita economica è stato la pressante ricerca di economie di scala da parte delle imprese. Seppure con differenze tra i vari settori, si è puntato alla creazione di gruppi sempre più globali e dalle dimensioni sempre più rilevanti attraverso forme di delocalizzazione produttiva. La letteratura accademica si è molto dedicata allo studio e alla stima delle economie di scala, evidenziando generalmente i benefici economici in termini di riduzione dei costi unitari all’aumento appunto della scala, cioè delle dimensioni.
Tuttavia, ciò che finora è mancato in ambito scientifico è la dovuta considerazione delle “esternalità negative” associate a questo modello di crescita, quello che il Santo Padre chiama il «debito ecologico tra Nord e Sud». In altre parole, sono state ignorate le implicazioni generate in fatto di degrado ambientale (per esempio inquinamento e sfruttamento delle risorse) e sociale (in particolare deterioramento delle condizioni di lavoro). Va notato che queste esternalità negative si manifestano principalmente in Paesi diversi da quelli in cui hanno sede legale le società, Nord e Sud appunto, poiché spesso le economie di scala, specie nei settori industriali, sono perseguite tramite un massiccio ricorso a forme di offshoring e un diffuso impiego di manodopera a basso costo. Da questo punto di vista sono i Paesi in via di sviluppo a risentire fortemente degli effetti negativi di questo modello di crescita globale, senza che peraltro tali fattori siano incorporati come costo implicito nei modelli econometrici di stima delle economie di scala. Queste ultime sono pertanto apparse negli anni superiori rispetto a quanto realmente fossero.
Con la crescente affermazione di modelli di business ispirati alla sostenibilità, è prevedibile che i benefici associati alle economie di scala si andranno a ridurre per effetto della emersione di questi “costi nascosti” legati alle esternalità ambientali e sociali. L’emersione di questi costi nascosti legati alle esternalità ambientali e sociali delle delocalizzazioni e del commercio internazionale è uno degli aspetti concreti alla base del nuovo paradigma economico fondato sullo sviluppo integrale.