Un centenario che è motivo «di «gratitudine e di ammirazione»: È quello della Fondazione Scuola Beato Angelico che chiude l’anno di festeggiamenti per il secolo di vita con una celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo nell’artistica chiesa della Trasfigurazione, interna al complesso della Scuola, dove riposa il fondatore don Giuseppe Polvara, morto il 20 febbraio 1950.
La Messa solenne – come dice suor Celina Duca, superiora della Famiglia religiosa istituita sempre da don Polvara – «è il coronamento dell’anno centenario», iniziato e concluso, sempre con la presenza dell’Arcivescovo, nei giorni della festa liturgica di fra’ Giovanni da Fiesole, il Beato Angelico, protettore degli artisti.
Concelebrano il vescovo monsignor Luigi Stucchi, il vicario episcopale e presidente della Fondazione monsignor Luca Bressan, monsignor Valerio Vigorelli (classe 1924, che raccolse l’eredità di Polvara), il direttore della scuola don Umberto Bordoni, don Gianni de Micheli e don Erminio Burbello, giunti da Civate, luogo da sempre legato alla scuola, e altri presbiteri.
Le suore, tanti amici, allievi, membri di Visba (Volontari internazionali Scuola Beato Angelico), fedeli del quartiere partecipano al rito arricchito dalle esecuzioni organistiche del maestro Claudio Cardani e dal canto dei Cori Elevata Canit e della Fondazione Milano per la Scala sotto la guida del maestro Margherita Tomasi.
Il messaggio del cardinale Scola
In apertura viene data lettura del messaggio che il cardinale Scola ha inviato al direttore Bordoni, nel quale l’Arcivescovo emerito esprime il suo ringraziamento a coloro che lavorano «per dare alla Scuola tutto il prestigio che essa merita».
L’omelia dell’Arcivescovo
«La Scuola Beato Angelico in questi 100 anni – sottolinea nella sua omelia l’Arcivescovo -, ha dato forma e storia a espressioni artistiche che hanno rappresentato l’umanità del Cristo, la storia dei santi, le pagine della Scrittura, per invitare a pregare e a celebrare. Perciò celebriamo con profonda riconoscenza questo centenario e formuliamo l’augurio che artisti, uomini e donne di fede, possano trarre dalla contemplazione della rivelazione cristiana immagini, colori, bellezza tragica e gloriosa per aiutare a pregare, per condividere la loro esperienza di fede».
Evidente il ruolo di realtà, come la Fondazione, che cantano con l’arte e la bellezza, il Signore, suggerisce monsignor Delpini in riferimento alla pagina del Vangelo di Matteo al capitolo 6 appena proclamata: «L’ortodossia ha contrastato la furia iconoclasta per difendere la verità irrinunciabile della verità cristiana: non possiamo rinunciare alle immagini, non possiamo rinunciare agli artisti che sanno scrivere del corpo luminoso, che sanno dire della rivelazione della gloria di Dio nella carne del Verbo». Il corpo della luce che si contrappone a quello della tenebra, «il corpo come oggetto, da vendere, da comprare, il corpo dell’umiliazione della donna e dell’uomo, dell’esibizione, della curiosità volgare, supporto della pubblicità per un mercato insaziabile. Il corpo vulnerabile, che subisce violenza, il corpo minacciato, torturato, picchiato per estorcere confessioni, per rubare il pensiero, per saccheggiare la casa, per derubare i tesori stoltamente accumulati».
Ma è proprio nel corpo di Cristo si apre una promessa, «una via forse impensata e impensabile alla sapienza mondana. Il corpo è principio di salvezza. Il corpo del Verbo ferito, umiliato, crocifisso, rivela che persino le ferite, il fianco trafitto non è l’ultima umiliazione, ma è il compimento della rivelazione. Chi è attratto da Colui che è stato innalzato nel supplizio tremendo della croce sperimenta che il corpo malato, il corpo rovinato non è una destinazione alla decomposizione, ma una invocazione di trasfigurazione, la predisposizione alla gloria della risurrezione».
La missione della Fondazione
Da qui la conclusione. «La Scuola ha compiuto la sua missione scrivendo del corpo luminoso. Gli artisti della Scuola hanno testimoniato e sono chiamati a testimoniare in questo tempo e nel futuro che, attraverso la contemplazione del corpo luminoso, che fa luce, dell’umanità del Verbo, si impara a pregare, si entra nella comunione con il Santo dei Santi».
Un impegno ribadito, al termine della celebrazione da don Bordoni che parla di un’«opera preziosa, che si apre al tempo nuovo che la Scuola ha davanti a sé».
L’happening
Tra intermezzi musicali all’organo, riflessioni, il ricordo di don Marco Melzi – sacerdote e artista molto noto, scomparso nel 2013, lasciando un’impronta indelebile non solo nella Scuola -, la presentazione della mostra fotografica “Stanze e preghiere” di Giovanni Chiaramonte e il saluto di chiusura di monsignor Bressan prosegue, poi, la serata. E sono proprio i dieci scatti d’autore di Chiaramonte (è lui stesso che presenta la rassegna) a raccontare il mondo di don Melzi attraverso la narrazione fotografica dello studio di scultura del sacerdote, nel quale l’artista si immerge per diversi giorni nel 2017, ricavandone un’inedita serie di immagini, tra luci e ombre, risonanze dell’anima e strumenti di lavoro, per una memoria sospesa tra concretissimo lavoro quotidiano, fissità metafisiche e sacralità.