«Le ragioni del custodire le terre sono molteplici. E la prima ragione è che “Dio pensa in modo semplice”: Dio “dice” e mentre dice “crea” e “vede”». Lo ha affermato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel suo saluto al convegno online “Custodire le nostre terre”, promosso dalla Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, dagli Uffici nazionali per la pastorale della salute e per i problemi sociali e il lavoro, dalla Caritas italiana, con il coordinamento delle diocesi campane.
«Dio ama in modo semplice l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio», ma «amare, e amare nella semplicità, non è sufficiente: una terza dimensione da coltivare – e su cui riflettere – è quella del custodire. Un verbo e un agire profondamente biblico: san Giuseppe è definito “custode del Redentore”; Maria “custodiva” nel suo cuore le profezie sul figlio Gesù, e fin dalla Genesi l’umanità ha il mandato di coltivare e custodire la creazione». Il porporato ha precisato: «Custodire è proprio il “prendersi cura” in modo diretto e personale, nel cuore e con i fatti». Custodire quindi «si traduce in un “prendersi cura” diretto, impegnativo, personalmente coinvolgente, soprattutto indelegabile, ognuno deve fare la propria parte fino in fondo».
«Gli effetti ambientali incidono sulla salute di tutti»
«La custodia, o la mancata custodia, della casa comune – in quanto siamo tutti parte dell’umanità – incide direttamente sulla nostra salute. Gli effetti ambientali prodotti dalle nostre scelte hanno una incidenza diretta sulla salute fisica, psichica e sociale di tutti», ha sottolineato ancora Bassetti.
«Per questa attenzione dovuta al bene delle persone, la Chiesa ritiene suo dovere farsi carico del tema della salute di tutti e di ciascuno, in forza del comandamento dell’amore che anima la propria azione e dell’esplicito mandato evangelico di evangelizzare e guarire – ha aggiunto -. Per la responsabilità che abbiamo e che conosciamo, possiamo affermare che può risultare riduttivo, quando non addirittura discriminante, parlare di “terra” e di “terre dei fuochi”: perché dobbiamo piuttosto affermare con forza che siamo responsabili della “custodia di tutte le terre”, di tutto il Creato».
«Quale ambiente vogliamo lasciare ai nostri figli?»
In chiusura del suo saluto il presidente della Cei ha offerto due suggestioni conclusive e ricordato un appuntamento. «Il primo criterio di “gestibilità” della vita – ha osservato -è la semplicità: ridurre agli elementi essenziali la vita dell’uomo, e al tempo stesso togliere una serie di sovrastrutture, mentali o indotte da una cultura del superfluo. In termini evangelici, si tratta di convertirsi e diventare come bambini, per entrare nel Regno dei cieli».
Il secondo criterio è «quello di una comprensione dei fatti inserita nell’annuncio del Vangelo e nella fede: concreta, intelligente, operosa, non inerte, tantomeno indifferente. L’appello che nasce dalla convocazione di oggi è quello di agire essendo chiamati da Cristo a rispondere alla domanda essenziale: quando hai fatto, o non hai fatto, qualcosa al più piccolo dei miei fratelli, l’hai fatto, o non lo hai fatto, a Me. In più, papa Francesco ci ricorda che esistono i complici dei briganti – i “segreti alleati” –, coloro che passano e guardano altrove, o sono indifferenti, o soffocano la speranza”.
Di qui l’invito: «Diamo questa risposta di ritorno al vero, all’essenziale, all’evangelico, tenendo presente che un’ampia parte del territorio italiano è inquinato, ma che qui sono riunite quell’ottantina di diocesi che sono segnate da territori e acque particolarmente caratterizzati da un inquinamento specifico. Diventa quasi una chiamata, un appello nominale. Dal Sud al Nord, dall’Est all’Ovest».
Poi, l’appuntamento: «Le Settimane sociali dei cattolici, con la loro lunga storia, nel prossimo mese di ottobre si interrogheranno su “Ambiente, lavoro e futuro”. La Chiesa è non solo chiamata a leggere i segni dei tempi, ma a proporsi come interlocutore preparato e credibile nei confronti di un mondo che chiede risposte alla “domanda di senso” che nasce nella storia e dalla storia».
«La riflessione sulla dimensione della salute, e della pastorale della salute, vuole offrire un contributo specifico alle domande che la nostra amata Nazione si sta ponendo oggi sul tema dell’ambiente, della salvaguardia della salute, soprattutto della correlazione tra inquinamento dell’ambiente, inquinamento dei corpi e inquinamento ancora più profondo delle coscienze», ha aggiunto il porporato, che ha ringraziato le diocesi che da anni si stanno impegnando in questo senso, la Conferenza episcopale campana e «quanti si mettono in discussione su un tema per loro nuovo, ma che non li fa sentire estranei ma compartecipi di un processo che si sta avviando, di consapevolezza, di condivisione, di assunzione di nuova responsabilità. Una responsabilità che si radica nella storia del passato, ma che guarda al futuro – ha concluso -: quale ambiente, e quale etica di custodia del creato, vogliamo lasciare – mi sia concessa l’espressione – ai nostri figli, ossia alle generazioni che ci seguiranno?».