Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte. Ma forse anche chi si avvicina alla conoscenza della Scrittura attraverso le pagine della letteratura può sperimentare una sorta di esperienza di preghiera. Per farlo, tuttavia, è fondamentale approfondire il legame esistente tra Parola di Dio e letteratura. Il Dizionario Biblico della Letteratura Italiana (Ipl Editore), ponderoso volume ricco di molte voci, si propone proprio tale obiettivo. La pubblicazione sarà presentata sabato 16 febbraio in una tavola rotonda aperta da monsignor Marco Ballarini, prefetto della Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, che spiega la logica del Dizionario, di cui è direttore.
Perché è importante la Bibbia per la letteratura?
Per un gran numero di autori la Scrittura costituisce il principale retroterra culturale; se la si trascura, essi diventano quasi incomprensibili. In altri casi è il singolo testo a rimanere oscuro se non si pone attenzione alla Bibbia. Per esempio, in Luci e colori Eugenio Montale parla della fatica di raccogliere un vermiciattolo su un pezzo di carta e buttarlo vivo nel cortile. Un gesto insignificante, apparentemente. Ma la banalità scompare se si ricorda che tutto avviene mentre l’autore sta leggendo il Libro di Isaia. È proprio Isaia (41-14), infatti, a rivolgere il famoso invito: «Non temere vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele», indicando la protezione di Dio per il suo popolo eletto. Altre volte l’interpretazione di un autore, attraverso la consapevolezza della Scrittura, cambia addirittura di segno.
In che senso?
Prendiamo l’abate Giuseppe Parini, autore che sembra diventare sempre meno fruibile in ambito scolastico, e non solo a causa del linguaggio. Pensiamo per esempio al «giovin signore» protagonista de Il Giorno. Pare che gli studenti, oggi, rischino di schierarsi dalla parte del protagonista (con relativa assenza di impegno e apprezzamento per la vita notturna…) o di rassegnarsi a quella che sentono come una superficiale monotonia. In realtà, nel poemetto, del suo “eroe” Parini scrive che è «da tutti servito a nullo serve», nel duplice, ambiguo significato di dire che non è servitore di nessuno e non serve a nulla. Si tratta, evidentemente, dell’antitesi del Figlio dell’Uomo, venuto invece «non per essere servito, ma per servire». Letto in questo modo, davvero, anche questo autore costringe a riflettere.
Come è nata l’idea del Dizionario?
Credo che le radici affondino in un tempo ormai lontano, quello del mio insegnamento al Liceo del Seminario. Tutti gli autori incontrati si presentavano con una messe di dati biblici diversamente abbondante, ma sempre significativa. Naturalmente era impensabile, allora, un’impresa di questo genere. Arrivato a Milano, alla Biblioteca Ambrosiana, il progetto ha iniziato a prendere forma, con un problema rimasto per anni insuperabile, quello del finanziamento. Poi, un giorno, arriva una mail di monsignor Claudio Stercal, che invita ad aprire i cassetti e a far prendere aria e luce a qualche sogno: la macchina si è messa in moto.
Quali sono gli autori più interessanti in vista di una lettura “biblica” della letteratura?
A mio parere, quelli che “ostentano” meno, coloro che spesso sono percepiti come a-religiosi: secondo il sentire comune, tanti autori del Novecento. Il Dizionario mostra addirittura un incremento delle presenze bibliche nella Letteratura novecentesca e, appunto, non solo negli autori comunque “vicini” alla fede quali Ungaretti, Pomilio, Turoldo o Luzi, ma anche in scrittori del tutto “laici” come Svevo, Pirandello, Vittorini o Caproni.
A chi è destinato il Dizionario?
Certamente agli studiosi, ma anche a tutti gli insegnanti di Scuola superiore. Ogni biblioteca scolastica seria non dovrebbe essere priva di quest’opera.