Credenti inquieti, certo: non può essere diversamente. Perché il Vangelo non è un romanzo accomodante, ma un esigente e a tratti spigoloso compagno di strada (l’episodio dei discepoli di Emmaus…), che fa luce, scalda il cuore ma ne chiede la conversione; infonde coraggio per abbandonarsi al Cristo della croce e della resurrezione. Così da essere missionari, personalmente e comunitariamente (la Chiesa), testimoni del Vangelo per le strade del mondo e nelle pieghe della storia.
Sono i temi che attraversano il volume “Credenti inquieti. Laici associati nella Chiesa dell’Evangelii gaudium” (Editrice Ave), del presidente nazionale di Azione cattolica, Matteo Truffelli, presentato il 26 maggio all’Istituto Sturzo di Roma. L’autore riflette sul profilo del cristiano del terzo millennio nella linea della tradizione della Chiesa, degli insegnamenti del Concilio, di 150 di storia associativa, in una stagione «caratterizzata da processi di segno diverso, con aperture incoraggianti ma anche con fatiche e incertezze, tanto nella Chiesa quanto nella società».
Un tempo, secondo Truffelli, «segnato in maniera profonda da papa Francesco, che non smette di stupire per la forza dirompente dei suoi gesti e delle sue parole, capaci di scardinare schemi consolidati», con «una proposta di Chiesa e una visione del mondo cariche di speranza, di desiderio di incontro con tutti e di passione per l’umanità». È la Chiesa povera tra i poveri, “popolare”, determinata nel costruire ponti tra le genti e tra le fedi, ricca di misericordia, permanentemente “in uscita” per portare con urgenza il messaggio del Vangelo a un mondo che ne ha bisogno. Ebbene, il presidente colloca l’Ac dentro il disegno di Bergoglio. Del resto è scritto nel Dna dell’Associazione, chiamata a «concorrere responsabilmente, da laici associati, alla missione apostolica della Chiesa».
Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, osserva: «Truffelli nel suo libro sottolinea come il laicato sia chiamato ad avere gli stessi tratti del pontificato». Dunque, secondo Spadaro, un “laicato profetico”, di incontro (con lo stile del dialogo), «che si fa carico dei drammatici problemi del mondo»; un laicato capace di discernere, “in continua tensione”, non pacificato e “di frontiera”. Questa, afferma il gesuita, «mi sembra l’immagine dell’Azione cattolica dei prossimi anni». Non a caso l’Ac – confermando la sua storica vocazione, peraltro rimessa costantemente in gioco nel fluire del tempo – prova a rimodellarsi secondo la “Evangelii gaudium”, pilastro del pontificato di Francesco, il quale “sogna” una Chiesa missionaria, audace nella carità, ferma nei convincimenti dottrinari e accogliente verso tutti.
È una «prospettiva che, nel chiedere una conversione interiore, al tempo stesso pretende di non fare come si è sempre fatto», osserva Domenico Delle Foglie, direttore dell’agenzia Sir. «Insomma domanda a tutti e a ciascuno di rompere con la propria tradizione, di cogliere la possibilità offerta per sanare le ferite del mondo (comprese quelle da noi procurate al mondo), di lanciare ponti e di smetterla di ergere muri». Ecco allora «che la preoccupazione di Truffelli si spiega tutta. Anche per via della responsabilità che l’Azione cattolica, suo malgrado, si ritrova sulle spalle. Se la Chiesa italiana riuscirà davvero a diventare quell’ospedale da campo che il Papa si aspetta, molto dipenderà dall’Ac. Così come dalle scelte che l’Associazione compirà, sia a livello nazionale che nella dimensione diocesana e parrocchiale». Da lì si percepirà se la Chiesa italiana è “in uscita”, oppure se si sta attardando «o addirittura in alcuni casi trova resistenze».
Truffelli dal canto suo rilancia: «Essere associazione tra le pieghe della cultura di oggi, nella vita quotidiana delle persone, ma anche in quelle della Chiesa per attivare processi virtuosi capaci di generare legami buoni, di costruire alleanze tra le persone, tra le generazioni, tra le comunità, tra i territori». Appunto, un’Ac sulle orme e al passo di Francesco.