Nel documento che rende conto del cammino delle Assemblee sinodali decanali nell’anno 2023-2024 – dedicato a consolidarle, a discernere l’ambito tematico da approfondire e a sperimentare azioni e iniziative -, si indicano alcune evidenze: dalla comunione ecclesiale all’entusiasmo «dovuto più alla bellezza del seminare che alla soddisfazione del raccolto». Nasce dal Vangelo, dal sentirsi “mandati”, dal camminare insieme. Un sentimento che spiega la fedeltà all’impegno assunto, anche quando, dicono alcuni, «la fase dell’innamoramento è finita».
Ma anche il metodo definito «sinodale, basato sul pregare insieme, l’ascolto, la condivisione che si conferma efficace, confacente, perché consente sia la partecipazione che un discernimento comunitario e diventa anche utile per l’attivazione di reti sul territorio». Fino ad arrivare alla Chiesa in uscita perché, come si legge nel testo, «emerge forte il movimento che va verso il territorio spaziale, ma anche esistenziale, che consiste nel lasciarsi interpellare e prendersi cura delle relazioni, delle fragilità e sollecita altri della comunità a fare altrettanto».
Quale di queste evidenze sia la più significativa lo chiediamo a Simona Beretta, moderatrice della Consulta Chiesa dalle Genti, che la scorsa settimana ha illustrato il documento stesso sia nell’assemblea del Consiglio Episcopale Milanese sia alla Due Giorni Decani: «Io credo che ciascuna abbia la sua particolarità, ma sceglierei il tema della comunione ecclesiale, nel senso che, pur trattandosi di un organismo nuovo, con le sue difficoltà di relazione, ciò che abbiamo visto con molta chiarezza è il desiderio, da parte delle assemblee, di lavorare in comunione, essendo tutti a servizio della Chiesa per la missione».
Un altro tema rilevante?
Sottolineerei la parola «relazione» che si lega necessariamente all’ascolto. A volte si tende a dare tutto questo per scontato, ma in realtà, attraverso gli incontri realizzati ad intra e ad extra, abbiamo scoperto che stare in relazione è, da un lato, un bisogno, ma al contempo anche la risposta, perché vogliamo dire che la Chiesa continua a essere e a fare ciò che ha sempre fatto: «Mantenere relazioni calde».
Nel report si offre anche qualche numero significativo, come i 61 Decanati che possono contare su Assemblee sinodali o Gruppi Barnaba e le 56 Asd costituite, pari all’89% del totale…
Sì, ci sono solo due Decanati silenti, ma ritengo che sia per motivi organizzativi. Quindi potremmo parlare non dico di plebiscito, ma quasi, nel senso che c’è stato davvero un grande ingaggio in questa nuova esperienza decanale. Va riconosciuto ai Decani il merito di aver realizzato il lavoro di tessitura e ai laici di essersi spesi e lasciati coinvolgere nel progetto. Tanto è vero che si sono già costituite ben 56 Assemblee su 63 Decanati e alcuni Gruppi Barnaba sono ancora in fase di trasformazione e passaggio, ripartendo talvolta da zero. Per questo abbiamo parlato anche di un atteggiamento di perseveranza e di resilienza.
Che tipo di strumento di analisi è stato utilizzato?
Sostanzialmente ci siamo basati sul cosiddetto N.o.i.s.e. – dalle iniziali delle parole-chiave Needs, Opportunities, Improvements, Strengths, Exceptions -, uno strumento che usano le imprese in termini gestionali, ma riadattato alle esigenze della Chiesa e del Vangelo. Questo strumento ha la caratteristica di avere un approccio al positivo, partendo dalle cose che funzionano, pur indicando i dubbi e le fatiche, e facendo quindi emergere i bisogni. Ciò restituisce un senso di speranza e così i «punti di forza» sono diventate le cose di cui rallegrarsi e ringraziare, le «opportunità» i talenti da dissotterrare, le lampade sotto il moggio da spostare. I «miglioramenti» sono quelle conversioni alle quali dobbiamo guardare. E infine le «eccezioni» le abbiamo chiamate “azioni dello spirito”, che comunque soffia dove vuole e agisce indipendentemente da noi.
Il documento, in conclusione, riporta anche domande aperte, come un’eventuale istituzionalizzazione delle Asd quale struttura stabile…
Sì, abbiamo raccolto alcuni interrogativi che si sono posti visitando le sette Zone pastorali. Infatti al termine degli incontri abbiamo sempre domandato ai presenti quali fossero le loro richieste. Le Assemblee non solo chiedono, da una parte, una riconoscibilità formale e una maggiore legittimazione anche in termini di riconoscimento da parte delle comunità e delle fraternità del clero, ma, dall’altro lato, cominciano anche a domandarsi qual è la struttura che si lascerà in eredità a chi verrà dopo. Questi sono gli interrogativi che ci riserviamo per l’anno prossimo, perché la riflessione andrà anche in questa direzione.
Cosa l’ha più colpita a livello personale nel lavoro di questi mesi?
Anzitutto bisogna dire che si tratta di un lavoro di équipe che, con la presidenza del Vicario generale monsignor Franco Agnesi, coinvolge diverse persone: sacerdoti, religiose e laici, ciascuno con la sua specifica competenza. Ciò che mi ha colpito è, certamente, una Chiesa percepita e vissuta come strumento di rete nel territorio: una Chiesa che “esce”, va fuori, riappropriandosi, in una certa misura, della sua vocazione a essere spazio per accogliere. Una Chiesa come luogo ancora autorevole e riconosciuto che permette di sedersi attorno a un tavolo, ascoltandosi e creando relazioni per portare beneficio a quello stesso territorio.