Un corso per imparare a rendere vive e autentiche le celebrazioni. Ma non solo. Soprattutto, un percorso per amare sempre più il canto e la musica a servizio della liturgia. È questo il senso del percorso diocesano «Te laudamus», giunto alla seconda edizione, che terminerà giovedì 18 maggio, solennità dell’Ascensione, con la celebrazione presieduta dall’Arcivescovo alle 20.45 nella parrocchia della Madonna del Rosario in Redecesio, in via Milano 1 a Segrate (vedi qui il libretto della celebrazione).
Don Riccardo Miolo, collaboratore del Servizio diocesano per la liturgia per quanto concerne la musica, spiega così la scelta del giorno e del luogo: «La celebrazione finale del corso è un momento utile ai partecipanti, ma è interessante anche per coinvolgere le loro comunità. Stavolta andiamo a Segrate, nella parrocchia di due corsiste di quest’anno. Ci è sembrato bello animare la celebrazione dell’Ascensione, che è di giovedì e spesso passa un po’ in sordina. Chissà, potremmo rendere una consuetudine del corso che il momento finale sia l’Ascensione…».
Necessità di formazione
Il percorso «Te laudamus» nasce dalla consapevolezza che ci sia un grande bisogno di formazione in ambito liturgico: «Tutto è nato nel periodo buio del lockdown – racconta Miolo -, durante il quale abbiamo proposto alcuni incontri webinar per chitarristi, organisti, coristi e animatori liturgici e musicali, che hanno avuto grande successo. Abbiamo toccato con mano la consapevolezza, ancora allo stato primitivo, che qualcosa vada cambiato per rendere la celebrazione più viva e reale e il desiderio diffuso in tante persone di darsi da fare per migliorare le cose».
La struttura
Da qui l’idea di un percorso più strutturato. Attualmente il corso prevede un primo momento ordinario, comune a tutti i partecipanti, articolato in una introduzione, quattro sabati pomeriggio (proposti in sei sedi differenti) e un week-end a febbraio (a sedi riunite) per un totale di 35 ore in presenza, a cui si aggiungono 24 ore da remoto. Accanto a questo percorso ordinario, è possibile iscriversi a quattro corsi specifici: direzione di coro e vocalità per salmisti e solisti (6 sabati mattina); chitarra e organo (12 incontri, luogo e orario da concordare col docente).
Una missione ecclesiale
Il sogno di «Te laudamus», che con tutta probabilità sarà rinnovato per una terza edizione l’anno prossimo, è quello di «portare in ogni parrocchia una o più persone che abbiano competenze liturgiche e musicali, ma anche pedagogiche – spiega don Miolo -. Persone che facciano da lievito nei propri contesti e che siano in grado di fare rete con figure simili in altre chiese del territorio». Un processo che in parte si genera già con il corso, fa notare don Miolo: «Abbiamo trovato grande accoglienza nei professionisti selezionati come collaboratori e come docenti, che hanno condiviso a pieno il progetto e si sono sentiti parte di una missione ecclesiale. Il fatto che le lezioni si svolgano in sedi diverse ha facilitato la creazione di legami tra questi professionisti e i territori che hanno incontrato. Non si è fatta solo una scuola di liturgia e musica, ma si è costruito un pezzettino di Chiesa».
Amore per il canto e la musica
Un risultato pienamente in linea con quanto auspicato dall’Arcivescovo nella sua proposta pastorale di quest’anno, dedicata alla preghiera: «Abbiamo provato a declinare le indicazioni dell’Arcivescovo in una formazione che non fosse solo tecnica – spiega don Miolo -, ma che infondesse amore per il canto e la musica. Ai nostri corsisti abbiamo chiesto, una volta tornati in parrocchia, di non farsi censori di quello non va, ma di appassionare i fedeli al rito prima di tutto, e solo dopo analizzare quali scelte sono da rivedere». A volte basta davvero poco, come spiega Miolo con un esempio: «Prendiamo l’alleluja: lo si intona tutti i giorni, è diventato quasi un’abitudine. Proviamo invece a trovare le melodie più adatte, che esprimano bene l’esplosione di gioia insita nell’acclamazione dell’alleluja, e curiamone ogni volta l’esecuzione, con il solista che propone il versetto e l’assemblea che risponde. Se tutti cantano tutto, si perde la natura dialogica del rito».