«Avremmo tanto bisogno di gente come voi! Qui la situazione è precaria. Il clima è malsano, il territorio è in gran parte inesplorato e le condizioni sociali sono davvero terribili. L’evangelizzazione, poi, è praticamente ancora da avviare». Così nel 1947, a Macapà (la località brasiliana che in questi giorni attende la visita dell’arcivescovo Delpini), monsignor Anselmo Pietrulla, francescano di origine tedesca, Vescovo di Santarem (Brasile), si rivolgeva a un giovane missionario italiano, padre Aristide Pirovano, incaricato dal Pime di perlustrare l’Amazzonia brasiliana per individuare la sede di una nuova missione. Quel colloquio – e la successiva assicurazione che Pietrulla ricevette dal Nunzio apostolico monsignor Carlo Chiarlo («se la situazione è davvero così grave come l’ha descritta, l’Amapà è il posto giusto per i missionari del Pime: lei quelli non li conosce!») – diedero avvio all’evangelizzazione dell’Amapà, che ebbe in padre Pirovano uno dei suoi pionieri.
Classe 1915, nato a Erba (Como), alla fine degli anni Quaranta padre Aristide ha già una storia significativa alle spalle. Ordinato nel 1941, vorrebbe partire subito in missione per l’Estremo Oriente, ma la guerra frena il suo desiderio. Assegnato all’economato della sede milanese del Pime, entra in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale, collaborando attivamente all’espatrio di ebrei e di antifascisti. Scoperto dai tedeschi, nel dicembre 1943 viene arrestato e incarcerato a San Vittore, dove rimane per tre mesi senza cedere alle violenze dei nazisti che vogliono carpirgli informazioni. Viene liberato per l’intervento del cardinale Schuster, Arcivescovo di Milano. Tornato a Erba, assiste la popolazione vittima di pesanti bombardamenti e si adopera per evitare sanguinosi scontri tra le brigate partigiane e le forze nazifasciste.
Terminato il conflitto, nel 1946, con due confratelli parte finalmente per il Brasile, dove il Pime intende aprire nuove missioni. Dopo ampie perlustrazioni del Paese, nel 1948 viene destinato all’Amapà, un territorio immerso nella foresta e digiuno di evangelizzazione. Si impegna subito nell’esplorazione della zona, alla ricerca di tribù di indios, tra avventure e pericoli. Con i confratelli del Pime e le Suore di Maria Bambina apre la regione allo sviluppo, fondando villaggi, tracciando strade, costruendo scuole e dispensari medici, insegnando l’agricoltura moderna e l’allevamento di animali domestici. Ma soprattutto creando dal nulla la Prelazia di Macapà, di cui nel 1950 diventa amministratore apostolico. Nel 1955 padre Aristide è nominato Vescovo titolare di Adriani e Prelato ordinario di Macapà, consacrato a Erba per mano di monsignor Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano e futuro papa Paolo VI.
Sono il suo impegno a capo della nascente diocesi e il suo esempio di dedizione al prossimo a convincere l’industriale milanese Marcello Candia (da lui conosciuto alla fine degli anni Quaranta durante uno dei suoi periodici ritorni in Italia) a vendere la sua fabbrica, a impiegare le proprie risorse a favore della realizzazione dell’ospedale di Macapà (il più grande e moderno istituto di cura in Amazzonia) e, di lì a qualche anno, a recarsi in Brasile quale missionario laico. La collaborazione che entrambi sognano non si realizza a Macapà, perché quando Candia vi arriva (1964), Pirovano, eletto Superiore generale del Pime, deve rientrare in Italia. Il sodalizio si concretizzerà negli anni Settanta a Marituba: una colonia governativa dove lebbrosi ed ex-lebbrosi vivono isolati dal mondo, abbandonati dalle loro stesse famiglie. Pirovano e Candia creano servizi sanitari, scolastici, religiosi e sociali, danno lavoro agli indios, attirano gente dalla foresta. In pochi anni l’ex colonia diventa una città, abitata da decine di migliaia di persone e visitata anche da Giovanni Paolo II l’8 luglio 1980.
Monsignor Pirovano è morto il 3 febbraio 1997 alla Casa del Pime a Rancio di Lecco. A Macapà conservano il suo pastorale di Vescovo e lo considerano, a tutti gli effetti, il “padre” della loro Chiesa.