«Il tema della gioia sembra addirittura inopportuno in questo tempo, nella situazione in cui si trovano le nostre comunità, in questo contesto sociale tribolato, nelle nostre vite complicate e spesso ferite. Forse, però, il cammino di conversione che tutta la comunità può compiere in questo tempo di Quaresima renderà possibile vivere la gioia pasquale, che non è certo esperienza per un altro mondo e per un’altra situazione». L’invito a guardare con speranza al futuro è, nelle parole dell’Arcivescovo, un auspicio e, insieme, una consegna ai fedeli che seguono il primo appuntamento degli Esercizi quaresimali proposti per la Zona di Milano. Con il rispetto delle regole necessarie, la meditazione si svolge nella basilica di Santa Maria di Caravaggio, nel decanato Navigli; ma ogni realtà parrocchiale della Zona I è invitata a prendere parte comunitariamente alla serata, trasmessa in diretta tv e in streaming. Tema del ciclo, «Nulla va perduto. Accogliere dal Padre la forza e la gioia di ricominciare».
«Solo persone nuove possono celebrare una Pasqua nuova, pertanto più seria e attenta dovrà essere la nostra celebrazione della Parola», ricorda in apertura monsignor Carlo Azzimonti, vicario episcopale di Zona – cui sono accanto il decano don Walter Cazzaniga e il parroco don Gennaro Prinza -, richiamando la Lettera per il Tempo di Quaresima e il Tempo di Pasqua e il cammino di preparazione alla Visita pastorale a Milano che, dal gennaio 2022, coinvolgerà 172 parrocchie. Non a caso, il testo biblico scelto come icona della Visita – la parabola della moneta perduta da una donna di casa che si mette alla sua ricerca narrata nel capitolo 15 del Vangelo di Luca – è anche oggetto della meditazione dell’Arcivescovo.
La meditazione
«Questa parabola è raccontata da Gesù in un contesto di mormorazione, di malcontento, di atteggiamento ostile. I custodi della tradizione, le persone osservanti, gli esperti della legge sono sconcertati per la disinvoltura di Gesù che frequenta ogni tipo di gente e dalle parole provocatorie rivolte a tutti per dire l’invito a partecipare alla festa di Dio e rinunciare a tutto ciò che non appartiene alla sequela, i beni materiali, i rapporti, la propria vita. Le parabole che chiamiamo della misericordia (la pecora perduta, la moneta perduta, il figlio perduto) sono la risposta di Gesù a questo clima ostile che lo circonda», chiarisce subito l’Arcivescovo.
Dunque, una provocazione alla conversione da cogliere anche come aspetto distintivo della Visita pastorale, «che vorrebbe essere un umile pellegrinaggio del Vescovo in città per annunciare il volto di Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvati. Ma siamo disposti alla conversione? Conversione a che cosa? A chi?». Eppure le parabole cui si fa riferimento, parlando dell’esperienza di “essere perduti”, sono un’indicazione chiara, se solo si ascoltano con un cuore disposto a cambiare. Infatti, il sentirsi perduti, può «essere motivo di scoraggiamento e di tristezza, inducendo a deprimersi e a ritenersi condannati, perdendo la stima di sé»; può «portare al risentimento, a cercare colpevoli o può spingere all’indifferenza». «Talvolta – nota l’Arcivescovo – i legami che si sono spezzati possono essere sentiti come una liberazione, ma naturalmente non è così, perché condannano alla solitudine».
Di fronte a tale consapevolezza – «noi gridiamo quando ci sentiamo perduti» – riusciamo ancora ad avere un grido che «ci induce a pregare, a invocare la misericordia di Dio che non si lascia stancare dalla nostra infedeltà? A invocare l’amicizia di Gesù che sembra dormire mentre la barca è travolta dalla tempesta? La preghiera dei discepoli spaventati non è certo una buona pratica devota per gente che, alla sera, recita una preghiera quasi come un adempimento meritorio alla giornata. Nel pericolo estremo la preghiera è piuttosto l’invocazione di un appiglio necessario, unica speranza di salvezza».
Da qui altre domande: «Quale preghiera cerco e vivo in questa situazione drammatica? Chi è sazio, chi è disperato, chi è rassegnato, non cerca più: potrà rinascere il desiderio? troverà spazio la speranza? Forse dobbiamo risentire la promessa che c’è qualche cosa che merita di essere cercato? C’è qualcuno di cui fidarsi? Quale è la mia gioia? Quale disponibilità ho per accogliere lo Spirito di Dio?».
«L’inerzia del pensiero e delle parole nel nominare un Dio secondo il pregiudizio umano è difficile da vincere, ma lo Spirito di Dio può insegnarci ogni cosa». Ad esempio – e lo cita espressamente l’Arcivescovo -, il pregiudizio di chi vede nella pandemia un castigo divino, mentre Dio è solo misericordia e salvezza. Si tratta, insomma, di avere un’immagine cristiana di Dio. «La festa per la moneta ritrovata, per la pecora ritrovata, per il figlio ritrovato è una rivelazione del cuore del Padre. E il Padre invita tutti alla festa, come la donna che chiama le amiche e le vicine a rallegrarsi». Comunque e sempre, anche ora.
Poi, i momenti di silenzio, la condivisione delle intenzioni di preghiera (vissute nelle singole comunità parrocchiali), la recita del Padre Nostro e la benedizione finale, con quella frase di congedo che è come un sigillo. «Noi tutti vogliamo dire la Signore che ci chiama: siamo disposti alla conversione».