Aprire le porte a un desiderio di vita, accompagnare il passaggio dall’attesa di un bambino alla concretezza dell’essere genitori; accogliendo, con l’adozione, un figlio che è radicalmente “altro” da sé; ma anche aiutare a scoprire che si può essere protagonisti di una genitorialità sociale, attraverso le diverse forme di affido.
Lo Sportello Anania di Caritas ambrosiana (in collaborazione con il Servizio diocesano per la Famiglia) aiuta le coppie a fare il primo passo, a mettersi in gioco in un desiderio di essere genitori che, spiega la responsabile Sara Oltolina, a volte non è ancora definito e deve trovare via via concretezza, innanzitutto nell’interesse del figlio adottivo, o del ragazzo in affido.
Certo è un desiderio che non manca. Lo confermano le decine di disponibilità raccolte nell’ultima campagna che lo Sportello ha lanciato per l’affido di minori stranieri non accompagnati, in questo momento l’esigenza più pressante (lo Sportello segue direttamente, in convenzione con il Comune di Milano, l’affido di minori stranieri non accompagnati, mentre, per le adozioni, indirizza agli enti che poi seguiranno le coppie in questo specifico iter).
Sofferenze e gioie
Si parte innanzitutto dall’ascolto, di situazioni che possono essere anche molto diverse tra loro. Le coppie che desiderano un’adozione raccontano infatti anche un vissuto di sofferenza, per l’impossibilità di essere genitori biologici; mentre, testimonia Oltolina, partono da una situazione opposta quei genitori che, magari con i figli già grandi, vogliono restituire quanto di bello hanno ricevuto dalla vita, e danno quindi la propria disponibilità per un’esperienza di affido.
Quello di Anania è dunque innanzitutto un lavoro di orientamento, di accompagnamento a forme “diverse” in cui si può essere genitori, iniziando a immaginare quello che sarà il rapporto con il proprio figlio. Perché, proprio come i genitori naturali, anche quelli adottivi nutrono desideri e speranze verso il figlio atteso. E, ancor più rispetto ai primi, sono consapevoli che dovranno superare fasi non semplici. Ma – riconosce Oltolina – entrambe sono accomunate dall’accogliere e accompagnare la crescita di una vita che è altro da sé, e dunque di una relazione inaspettata; di un ragazzo, di una ragazza che ha le sue specificità, diverse magari rispetto a quelle che si erano immaginate. Per questo, evidenzia la responsabile, ancor più per i genitori adottivi è importante il passaggio dall’attesa di un “bambino” all’incontro con un “figlio” con cui si sviluppa una relazione. Scoprendo, proprio come avviene per un papà o per una mamma naturali, tutta la ricchezza dell’essere genitori, e mettendosi pienamente in gioco in questo nuovo ruolo.
Così come è un’esperienza significativa quella di chi si mette in gioco per un’esperienza di affido (che, evidenzia Oltolina, proprio per la sua natura è possibile a uno spettro più ampio di coppie e adulti, anche single, rispetto all’adozione). Da chi accompagna una famiglia in temporanea difficoltà, a chi si impegna in un part-time, o a tempo pieno, tutti scoprono “nuove” forme di genitorialità. Diventando, per la comunità, un segno dei tanti modi in cui si può generare una nuova vita.