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Sirio 17 - 31 marzo 2025
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Pellegrinaggio

Ambrosiani a Roma «per ricevere la grazia di una vita nuova»

Per i tremila fedeli partiti dalla Diocesi la liturgia penitenziale nella Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso presieduta dall’Arcivescovo: «La porta santa è aperta, non c’è bisogno di bussare. Ma la nostra porta si apre al Signore che bussa?»

di Annamaria BRACCINI

14 Marzo 2025
I pellegrini ambrosiani durante la liturgia

Arrivano, all’inizio sotto una pioggerellina leggera in piccoli gruppi, poi sempre più numerosi, fino a gremire in poco tempo la grande Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso. Un gioiello artistico seicentesco, in pieno centro a Roma, un’isola della “nazione lombarda” come veniva detta, nel cuore della città eterna.

I pellegrini ambrosiani per le strade di Roma

Non vi era, forse, luogo più allusivo e significativo di questa piccola “terra lombarda”, ma soprattutto diocesana – vista la dedicazione della Chiesa – e il fatto che per il Rito ambrosiano sia il primo venerdì di Quaresima, per dare inizio al pellegrinaggio giubilare della Chiesa ambrosiana, cui partecipano oltre 3 mila fedeli provenienti da ogni parte dell’Arcidiocesi con i loro sacerdoti e la guida dell’Arcivescovo. Con lui i membri del Cem: i vescovi ausiliari, i vicari di Zona e di Settore. Tutti insieme per vivere questo momento fondamentale, a cui monsignor Delpini ha voluto dare un titolo, «Evento di Chiesa, tempo di Grazia, cammino di Speranza», per essere, appunto, pellegrini di speranza, come indica papa Francesco, attraversando, domani, la Porta santa di San Paolo fuori le Mura e iniziando il pellegrinaggio dalla grande basilica che porta i nomi dei patroni della nostra diocesi.

La Basilica

Un luogo di culto dalle origini umilissime, nato come piccolo luogo di culto offerto agli scalpellini della Valtellina, arrivati a Roma per lavorare, e che poi, dopo due secoli, nel 1600 venne edificata, in 80 anni, nella forma attuale e con la dedicazione ambrosiana, tanto che quando verrà richiesta una reliquia per la chiesa, il cardinale Federico Borromeo donerà il cuore del cugino e predecessore san Carlo, come racconta il padre rosminiano e rettore, Pierluigi Giroli. Reliquia preziosissima, per l’occasione, posta in altare maggiore, per la devozione dei pellegrini che partecipano con una particolare emozione alla celebrazione penitenziale presieduta dall’Arcivescovo – due i gruppi che si susseguono nel pomeriggio per poter partecipare tutti -, tra preghiera, canti, animati al meglio dai seminaristi, ascolto della Parola di Dio, nella pagina del Vangelo di Matteo al capitolo 7.

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La riflessione

Da qui meditazione dell’Arcivescovo .

«Le folle erano stupite del suo insegnamento, ma lo stupore per le parole di Gesù pare sia estinto: i discepoli sentono proclamare l’insegnamento di Gesù, ma non si meravigliano, non si registra nessuna emozione, nessuna gioia per la consolazione, nessuna ferita per il giudizio che il Vangelo rappresenta. Dove si è estinto lo stupore, la parola è innocua, forse persino inutile. Lo stupore estinto rende noioso essere cristiani, forse doveroso, ma noioso. Il cristianesimo noioso diventa irrilevante, come un sale che ha perso il suo sapore e non serve a niente.  Lo stupore estinto estingue anche le domande e perciò l’insegnamento, il catechismo diventano una ripetizione, la preghiera diventa adempimento, un dovere, la speranza diventa un volontarismo. Questo pellegrinaggio vuole portare davanti al Signore tutto ciò che ci grava sule spalle e consegnarlo perché si possa ritrovare lo stupore».

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Senza dimenticare coloro – tanti anche tra i cristiani – che hanno perso la fiducia. «Ecco la tentazione che ci insidia: perdere la fiducia. La parola di Gesù è troppo fragile per essere quella roccia rassicurante su cui costruire la vita. Altre parole, altre promesse, altre risorse sono più convincenti. E, infatti, le case dei prepotenti, di quelli che non costruiscono sulla parola di Gesù, sono ben salde e, invece, le case dei poveri sono distrutte. Ascoltare e mettere in pratica la parola di Gesù non dà garanzie sufficienti: la prepotenza del male è troppo spaventosa. La sfiducia si esibisce, qualche volta, come fosse un realismo, ma in realtà è un peccato, ed è radice di molti peccati. L’animo sfiduciato – continua monsignor Delpini – si ammala di tristezza, di risentimento, di desiderio di omologazione, per essere come tutti gli altri che fanno riferimento a quello che è conveniente, di moda, rassicurante. Il compromesso sembra un’astuzia».

E, ancora, può aggiungersi. «La constatazione della propria impotenza che induce a disperare della propria possibilità di diventare santi, di diventare la casa che non teme la tempesta. L’esperienza induce alla rassegnazione a proposito della gioia: beati i poveri, ma noi siamo sfiduciati e, perciò, rassegnati alla tristezza. Rassegnati a proposito della preghiera, del perdono e dell’amore: il Vangelo dice “amate i vostri nemici, perdonate”, ma noi non ci riusciamo».

La reliquia di San Carlo

Dunque – conclude l’Arcivescovo – se tre sono i peccati tipici del giorno d’oggi, ossia lo stupore estinto, il realismo sfiduciato, l’impotenza rassegnata, noi siamo qui per ricevere la grazia di una vita nuova. Attraverseremo la Porta santa che è aperta, non c’è bisogno neppure di bussare e otterremo le grazie del Giubileo, ma è aperta la porta del tuo cuore, la tua porta si apre al Signore che bussa? Noi siamo qui non per uno sforzo in più per diventare migliori ma per un’apertura alla docilità perché il Signore possa farci la grazia in questi giorni e sempre».

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