Mercoledì 25 novembre, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, la Città metropolitana poserà sette panchine rosse nel parco dell’Idroscalo: su ognuna indicherà il nome di un servizio dedicato e il relativo numero di telefono. Lo scopo è quello di sensibilizzare la popolazione su un fenomeno assai grave e di segnalare i servizi attivi a Milano in difesa delle vittime.
«Su una delle sette panchine sarà riportato anche il numero del SeD, il servizio disagio donna di Caritas ambrosiana e Farsi prossimo, presente in città da oltre 25 anni», annuncia suor Claudia Biondi, responsabile dell’area Maltrattamento donne si Caritas (tel. 02.76037252; maltrattamentodonne@caritasambrosiana). L’interesse al tema è cresciuto a livello locale e nazionale, come pure gli interventi, i corsi di formazione, le pubblicazioni e i centri anti-violenza.
A partire dal primo lockdown, con tante persone a casa in smart working o in attesa di riprendere il lavoro all’esterno, la situazione per le donne si è aggravata?
Sì, senz’altro. Non esistono dati certi, perché spesso vengono calcolate tutte le telefonate e i colloqui della rete, più che il numero effettivo di donne che si rivolgono ai vari servizi. La situazione comunque è peggiorata perché, con le donne maggiormente in casa, come pure i compagni e mariti, la nocività rischiava di essere più alta. Nel 2019 come SeD abbiamo seguito 48 donne: 42 nuove arrivate (nel 2018 erano state 29, ndr) e 6 che stiamo accompagnando da tempo. Di queste, 21 sono italiane e 27 straniere; l’età più rappresentata è la fascia tra i 35 e i 41 anni.
Esistono diversi tipi di violenza?
È così. L’anno scorso abbiamo registrato molti casi di violenza psicologica (45), fisica (35), assistita (17), sessuale (9), economica (7) e stalking (4). Alcune di queste vanno sommate perché esercitate sulla stessa donna; ma a volte non vengono neppure segnalate. Per esempio, la violenza economica è molto presente, e quando la dichiarano è perché è davvero pesante. La violenza psicologica, poi, la troviamo indistintamente su tutte le donne.
Le violenze si consumano soprattutto in famiglia, per mano di mariti e conviventi o ex…
Certo, nella cerchia domestica. Chi agisce sono quanti vivono relazioni di intimità; gli elementi che fanno scattare la violenza sono la perdita di potere da parte dell’uomo e il rifiuto delle donne. Ci sono storie di volenza molto elevata che sfociano addirittura in omicidi: avvengono quando la donna prova a reagire, si allontana o dice che non ce la fa più e vuole separarsi. Non sono mai raptus, ma dei comportamenti che vengono anche da molto lontano, magari dal periodo del fidanzamento, quello in cui la relazione dovrebbe andare molto bene. Purtroppo però le donne non colgono alcuni segnali premonitori.
Che cosa si può fare a livello di prevenzione, magari a partire dai giovani?
Bisogna partire dai ragazzi. Noi siamo convinti che il lavoro con le scuole e con le altre agenzie educative, come gli oratori, sia molto importante. Occorre lavorare sul rispetto, identico per tutti: per questo occorre essere attenti ai comportamenti dei bambini. È fin da piccoli che bisogna intervenire. I bambini non sempre vivono in ambienti familiari molto educativi. Poi si ritrovano a scuola o in altri contesti, come la parrocchia, in cui non si mette l’accento sulla parità. Le diversità vanno accolte e riconosciute, perché essere maschi o femmine non toglie e non aggiunge nulla al rispetto. Bisogna lavorare con pazienza e determinazione. È un lavoro lungo, ma dà i suoi frutti.