«La stima e il ringraziamento; la proposta di una ragionevolezza che spieghi il convergere delle Istituzioni – tra cui la Chiesa – verso il bene comune e un orizzonte per guardare al futuro con speranza, nel riferimento alla Carta costituzionale e all’Europa dei popoli». Sono gli auspici che l’Arcivescovo lascia, come consegne da realizzare, ai tanti Amministratori locali del territorio appartenente alla Zona pastorale VII (Sesto San Giovanni), riuniti nel Centro civico “Il Pertini” di Cinisello Balsamo. Un’occasione di confronto nella scia degli appuntamenti già proposti nelle Zone II, III, V e I, a partire dal Discorso alla Città 2018, «Autorizzati a pensare», proposta in questa interessante e grande area metropolitana a nord-est della città, con i suoi 16 Comuni (di cui 4 amministrazioni appena rinnovate nelle recenti elezioni) e più di mezzo milione di abitanti.
La solitudine dell’amministratore
Accanto al Vescovo siedono il Vicario di Zona don Antonio Novazzi (che sottolinea: «Dobbiamo essere autorizzati a pensare, ma anche a sognare qualcosa di bene per le nostre Comunità») e Alberto Melzi, della Commissione zonale di Pastorale sociale, che introduce la serata in cui il saluto di benvenuto è portato dal sindaco di Cinisello Giacomo Ghilardi: «Spesso le persone avvertono la politica lontana e ostile. Occorre accorciare le distanze ed essere amministratori con coscienza equilibrata, avendo a cuore il bene comune. Quando si amministra bisogna spogliarsi delle vesti di uomo di partito, solo così si può tornare a svolgere il servizio al cittadino». Ghilardi parla di «voglia di fare e laboriosità» della propria gente «che va aiutata», ma anche di una «solitudine» nel mestiere di amministratore, che talvolta si fa sentire.
Tante le sfide già affrontate a Cinisello e nei Comuni vicini, con sinergie, collaborazioni tra Enti e anche la partecipazione ecumenica delle diverse Comunità religiose, come la Chiesa ortodossa russa, la copta e la battista. «Ci aiuti a rimettere a fuoco il centro di tutto, perché il nostro non sia un agitarsi scomposto, ma il servizio alla persona e la carità che ci facciamo a vicenda», termina il Sindaco rivolto direttamente all’Arcivescovo.
L’intervento dell’Arcivescovo
Dall’ascolto e dal dialogo parte la riflessione dell’Arcivescovo che definisce subito «insopportabile» il lamento, oggi tanto diffuso tra i cittadini: «Un modo che non aiuta a risolvere i problemi, essendo spesso ingiusto. Una contraddizione, oltretutto, perché in Italia molte cose sono organizzate bene, si hanno eccellenze a livello mondiale, eppure gli italiani continuano a lamentarsi… Noi non amiamo la lamentela. Questa convocazione è per dire la mia stima e il mio apprezzamento per voi che vi siete rimboccati le maniche».
Da tale convinzione nasce una prima sollecitazione: «Ritengo che le Istituzioni, a ogni livello, sono predisposte all’alleanza e non alla concorrenza. Fare le cose per contrapposizione è una tentazione, ma non giova al bene della città. Forse, in altri tempi, l’ideologia segnava un’appartenenza molto forte e l’opposizione un modo per rivendicare l’identità, ma ora mi pare che la contrapposizione non sia stimolante. Alleanza vuol dire stringere patti di stima e fiducia vicendevole per poter contribuire ciascuno, secondo le proprie competenze e risorse, al bene comune, che è il convivere fraterno e solidale, l’essere insieme. Ognuno può riconoscere che, anche a livello privato, è meglio aiutarsi che essere indifferenti, meglio stare insieme che da soli, e quindi le Istituzioni devono avere un disegno in vista di ciò».
Da qui lo scopo dell’incontro: pensare, facendo esercizi di ragionevolezza, contro ogni pretesa. «Se non possono esistere pretese, che sono sempre irragionevoli, esistono, invece, dei diritti. Essere autorizzati a pensare vuol dire ragionare su diritti e doveri, contrastando la reazione emotiva, di solito poco ragionevole, perché basata su una comunicazione che, spesso, alimenta generalizzazioni e rancore». Chiaro – e, con ogni probabilità, non scelto a caso – l’esempio: «Quando si parla di migranti, si affronta il tema in modo emotivo, perché quella dei migranti è una categoria assolutamente generica». Si tratta, insomma, di «costruire rapporti di buon vicinato che, a propria volta, sono un elemento di ragionevolezza che contrasta la paura dell’altro».
E, ancora: «Stiamo vivendo in un mondo nel quale è aumentata la consapevolezza che le risorse siano limitate e, per questo, è logico avere un’attivazione della realtà di base. In ogni luogo è stupefacente vedere quante associazioni esistono nei nostri territori che non chiedono risorse allo Stato. Il rapporto tra le Amministrazioni locali e la vivacità del contesto è un tema di grande importanza, mentre la contrapposizione schematica tra pubblico e privato è mortificante: pensiamo alla Chiesa che non è un privato, ma una realtà che si prende cura del bene comune. Facendo alleanza con il territorio si può fare tanto anche senza il ricorso alle risorse pubbliche», la conclusione.
Infine, quello che l’Arcivescovo definisce «il quadro più complessivo»: quello costituzionale, inserito nella prospettiva di un’Europa dei popoli, «che è un motivo di fiducia per la convivenza in questo Paese, senza che i continui lacciuoli e farraginosità della burocrazia ci schiaccino. La Costituzione della Repubblica e il processo europeo non possono essere banalizzati con qualche battuta sbrigativa. In tutto questo l’aspetto più importante è, forse, la speranza perché guarda avanti, tira fuori energie, ci fa chiedere dove stiamo andando e con quale orientamento».
Il dibattito
Intervengono poi molti consiglieri, assessori e sindaci, come quelli di Bussero («occorre ricostruire i luoghi dell’incontro, dobbiamo allenare le nostre comunità a prendersi cura di se stesse») di Carugate e di Bresso («vi è tanto bisogno di sussidiarietà e Terzo settore») – o il neo Primo cittadino di Paderno Dugnano, non ancora insediato, che parla di fiducia e speranza «come possibilità di vincere le sfide, anche in una periferia del mio Comune che ha il 40% di stranieri».
Il compito che, secondo l’Arcivescovo, emerge da tali richieste, diviene quasi un consiglio: «Che gli Amministratori di un territorio omogeneo abbiamo incontri che non siano solo direttamente utilitaristici, ma promossi per ragionare sulle motivazioni e le problematiche generali, potrebbe essere incoraggiante. Contagiate con la passione per il bene comune anche i giovani, perché desiderino anche loro un giorno fare l’amministratore. Cosa saggia sarebbe trasformare l’utente in collaboratore: chi viene aiutato si senta aiutato ad aiutare. Per uscire dal bisogno non occorre chiedere la carità, ma essere protagonisti di una storia diversa, così si moltiplicano le risorse».