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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Testimonianza

«Albanesi semplici e accoglienti, ma il futuro del Paese è a rischio»

Don Alberto Galimberti, “fidei donum” ambrosiano a Blinisht-Lezhe, attende la visita dell'Arcivescovo: «I giovani non hanno speranza e se ne vanno. Non c'è ricambio, resistono solo quelli che hanno iniziato 25 anni fa»

di Luisa BOVE

10 Dicembre 2021
Don Alberto Galimberti

Non conosceva una parola di albanese, don Alberto Galimberti, quando è arrivato nella missione di Blinisht-Lezhe, nel nord del Paese. Ha dedicato i primi mesi a imparare la lingua e a conoscere la realtà, collaborando con don Enzo Zago. «A maggio sono rimasto solo e ho iniziato a fare il parroco a tutti gli effetti», dice il fidei donum (qui la presentazione della visita dell’Arcivescovo).

Qual è il contesto in cui opera?
È una zona cattolica di villaggi nella pianura Zadrima, tra la costa e la montagna, separata da una catena di colline, tra Lezhe e Scutari. In passato gli abitanti hanno vissuto di agricoltura, durante il comunismo c’era anche qualche fabbrica, ma poi il regime ha azzerato tutto, distrutto chiese, arrestato e ucciso preti e religiosi. Non c’era tolleranza. Oggi vivono di agricoltura e allevamento di sussistenza con un campo e una mucca. Nei villaggi c’è un’evoluzione e un’involuzione.

In che senso?
L’evoluzione è dovuta alla costruzione di nuove case: fino al 1991-92 erano piccole e molto vecchie. L’involuzione è rappresentata dalla fuga dall’Albania. L’emigrazione è stata fortissima e lo è tutt’ora. I giovani non hanno speranza, se pensano al futuro non lo vedono. Dopo il regime comunista c’era entusiasmo, si sentivano liberi. Quando è arrivato don Antonio Sciarra ha iniziato a costruire chiese, celebrare la Messa, raccogliere persone, battezzare… La situazione è migliorata, sono arrivati anche tanti aiuti perché c’era una povertà estrema. Poi è subentrato don Enzo Zago che ha favorito il lavoro, ha creato piccole cooperative (produzione di olio, vino e altro) per poter commerciare. Oggi resistono solo quelli che hanno iniziato 25 anni fa, non c’è ricambio perché i giovani se ne vanno.

Ora la gente come vive?
In villaggi un po’ svuotati, in piccole comunità, caratterizzate da accoglienza e semplicità. Gli albanesi sono accoglienti, vivono tranquilli, senza frenesia, stanno in case. Soprattutto durante l’inverno in cui le giornate sono corte, ti accolgono e ti danno da bere, da mangiare, per loro è festa. E poi sono semplici, l’incontro è spontaneo, non sono diffidenti, ma aperti e senza tante pretese. Qui i ragazzi vanno a scuola, al catechismo e in oratorio, per il resto stanno in famiglia e aiutano in casa se i genitori hanno un campo da arare o le mucche. Ci sono anche molte fragilità sociali. La famiglia albanese è patriarcale, il padre decide tutto, e quando i giovani se ne vanno, le famiglie si sfaldano, rimangono più fragili. Poi c’è la droga (non solo perché l’Albania la coltiva) e se entra nelle famiglie le rovina.