Dieci anni fa, il 26 giugno 2011, in una piazza Duomo inondata di sole e di migliaia di persone, con suor Enrichetta Alfieri e don Serafino Morazzone veniva beatificato padre Clemente Vismara, definito l’apostolo della Birmania, l’attuale Myanmar, per il suo impegno di evangelizzazione in quel lontano Paese del sud-est asiatico. Nel decennale, martedì 15 giugno, alle 18, nella parrocchia di Sant’Eusebio ad Agrate, l’Arcivescovo presiederà una celebrazione eucaristica.
Padre del Pime, classe 1897, il beato Vismara, nato ad Agrate Brianza in diocesi di Milano, trascorse infatti 65 dei suoi 91 anni nelle foreste birmane accanto ai più poveri tra i poveri. Padre Mario Ghezzi, anch’egli missionario del Pime e neodirettore del prestigioso e storico mensile AsiaNews, ne definisce così la figura: «Penso che padre Vismara sia il prototipo del missionario: un uomo che ha dedicato la propria vita all’annuncio del Vangelo in un Paese come la Birmania in anni molto difficili, di grandi privazioni, senza mai tornare in Italia, se non per una o due brevi visite. Si immerse completamente nella vita del popolo che gli era stato affidato e credo che questo sia l’aspetto più importante, che riassume anche la caratteristica di tutti missionari del Pime che hanno lavorato in Myanmar per tanti anni.
In che senso?
Per la logica di donazione totale e di immedesimazione con la gente che identifica la missione. Mi piace ricordare, a tale proposito, ciò che mi disse qualche tempo fa il rettore del Seminario di Taunggyi: «Noi ricordiamo i missionari del Pontificio Istituto delle Missioni Estere come figure sante non per il loro carattere – spesso sanguigno – ma per la loro grandissima dedizione pastorale».
Sappiamo il momento difficile che sta vivendo attualmente il Myanmar. Cosa può insegnare l’impegno di padre Clemente e di tante religiose e religiosi in prima linea contro la violenza?
Sono stato missionario in Cambogia, ma conosco il Myanmar avendo anche visitato più volte il Seminario di Taunggyi, dove ho potuto vedere il lavoro svolto dai miei confratelli. Padre Clemente ci insegna che, nonostante le difficoltà e i rischi dei Paesi in cui siamo mandati, il missionario è qualcuno che rimane, che continua ad annunciare la luce che viene dalla presenza di Gesù Cristo nella società e nel cuore delle persone. E, così, rimane anche il segno di questo annuncio nonostante tutto, al di là di qualsiasi situazione critica o favorevole.
Qual è il compito, oggi, dei missionari nel Sudest asiatico e comunque in ogni parte del mondo?
Credo che il nostro ruolo rimanga inalterato nel tempo in quello che è il suo cuore fondamentale, cioè l’annuncio del Vangelo che, naturalmente, si declina nelle modalità più diverse. Non ci sono canali preferenziali per questo: il Vangelo lo si annuncia incarnandosi dentro la situazione che ci è dato di vivere, quindi spesso, assumendo su di noi i bisogni che incontriamo. Padre Vismara aveva creato degli ostelli, in cui accoglieva ragazzi poveri, permettendo loro di studiare e di fare una vita pressoché normale, e su quel bisogno aveva inserito ciò che dà veramente la vita, appunto, l’annuncio. Penso che il nostro ruolo sia quello di rimanere nella realtà che sperimentiamo dando risposte, per quanto possiamo, ai bisogni fondamentali dell’uomo, e da lì partire per dire che c’è uno sguardo e un amore che vanno oltre.