Vivere insieme e accompagnare il lutto è compito corale che coinvolge tutta una comunità. Stare vicino e non lasciare sole le persone che hanno subito un lutto non è qualcosa che può essere delegato agli specialisti, ma tocca in diversi modi tutta la comunità: il personale sanitario, gli amici, i parenti, i colleghi, i vicini di casa, la comunità cristiana nel suo insieme
Morire nella desolazione
L’unica esperienza della morte che possiamo avere è la morte di chi amiamo, di chi conosciamo e ci è caro. La morte lascia nella solitudine, anzi noi temiamo la morte proprio perché ci fa paura il pensiero di una solitudine totale. Questi giorni di pandemia con l’esigenza di proteggere dal contagio e il sovraffollamento degli ospedali, rendono ancor più triste e crudele la morte delle persone care. Il dolore del distacco del morire – della morte viene aggravato dall’impossibilità di stare vicini e di accompagnare i propri famigliari e amici nel passaggio più estremo della malattia. Si è presi da un senso di impotenza e di angoscia nella separazione dalle persone care, nell’immaginarle da sole e di non poterle incontrare e\o contattare. Tutto questo diventa ancor più straziante nel non poter vedere, toccare e onorare il corpo dei nostri cari defunti e celebrare insieme a parenti e amici i riti della fede con la comunità. Un distacco nel distacco, un dolore nel dolore che fa precipitare in un senso di desolazione e ingiustizia.
Manca lo spazio del lutto
Il lutto è il tempo di reazione e rielaborazione che viviamo nella separazione da una relazione cara. Non c’è lutto senza lo spezzarsi di un legame prezioso di amore e di amicizia. Il lutto è segnato dal pianto che sente ed esprime il dolore per qualcuno che non c’è più e che non può essere più raggiunto sensibilmente. In questi giorni manca lo spazio per il lutto: non c’è spazio per piangere insieme. Ci viene sottratto un diritto vitale: piangere per attraversare insieme il lutto di una separazione da coloro che abbiamo in tanti modi amato, coi quali abbiamo attraversato tutta la vita o tratti significativi di essa. In questi giorni invece ci dobbiamo difendere dal sentire e dal patire, per resistere per non lasciarci sopraffare dalla paura: non possiamo attraversare questo lutto che invece appartiene intrinsecamente alla vita. Prevale un senso sordo di ingiustizia e un senso muto di colpa che bloccano il pianto e il dolore che non si può esprimere. Diventa perciò assolutamente importante per chi può entrare in contatto in diverso modo con coloro che hanno perso una persona cara lasciare esprimere la rabbia e la protesta, la colpa e l’amarezza, alle quali bisogna in qualche modo dare voce e lasciare che si possa gridare anche verso Dio che ben conosce il patire delle sue creature. Papa Francesco invita, a questo proposito, il credente alla spiritualità della “protesta”: “La protesta vera (…) non è contro Dio ma davanti a Lui, perché nasce proprio dalla confidenza in Lui: l’orante ricorda al Padre chi è e cosa è degno del suo nome. Noi dobbiamo santificare il suo nome, ma a volte ai discepoli tocca svegliare il Signore e dirgli: «Non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,35-41).”1
Il guscio del lutto si apre se qualcuno si fa vicino
Il lutto lo si subisce comunque, ma sono davvero preziose le persone che si fanno prossime. Occorre non essere invadenti e curiosi, ma bisogna anche superare il pudore e la paura di farsi prossimi e contattare, chiamare, chiedere, lasciar parlare, ascoltare con delicatezza e comprensione, e ricordarle anche nei giorni successivi: offrire con discrezione e sensibilità una prossimità discreta e fedele. Il lutto, come un guscio, si apre se c’è questo qualcuno che si fa prossimo dando così spazio ai sentimenti, alle emozioni, alla parola, al grido, al pianto. Niente è più prezioso di un vero ascolto affinché il lutto possa trovare il suo spazio per essere espresso. Solo così si può esprimere e sentire di più, ma insieme si allenta il nodo del dolore e si apre la via del ricordo. Bisogna quindi superare la resistenza di chiamare o scrivere e mettersi in contatto con le persone che hanno perso persone care, ancor più se siamo sacerdoti, consacrate\i, religiosi\e .
Il lutto non è facile da accogliere in profondità anche per chi si avvicina e ascolta. La rabbia, il dolore e il senso di desolazione fanno paura e mettono in questione e toccano anche la nostra paura e la nostra angoscia dinanzi alla morte. Proprio per questo chi ascolta rischia di ricorrere a formule, laiche o religiose, che si appellano al destino o alla volontà di Dio. Sono formule sembrerebbero spiegare, ma in realtà sono vuote, sono nostre vie di fuga e di difesa, a volte inconsciamente offensive, sia rispetto alle persone che rispetto Dio e lasciano ancor più soli coloro che stanno già soffrendo: servono solo ad uscire dall’imbarazzo e chiudere il discorso senza coinvolgersi. Piuttosto nell’accoglienza del dolore, sarà da testimoniare come credenti il senso della presenza del Signore anche dentro l’oscurità: «Se dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male perché tu sei con me» (Salmo 23). Sarà da sostenere la certezza che il Signore custodisce nel pellegrinaggio della vita « il Signore ti proteggerà da ogni male…il Signore veglierà su di te quando esci e quando entri» (Salmo 121). Sarà da coltivare la confidenza che « nelle tue mani è la mia vita» e «non abbandonerai la mia vita nel sepolcro» (Salmo 15).
Raccontare e ricordare
Se in un primo tempo, spesso, il dialogo si ferma sulle circostanze della morte, una volta che il guscio del lutto si apre, emergono i ricordi che si accrescono proprio nel momento in cui la parola trova spazio dinanzi ad un altro e può così raccontare. Poter raccontare permette di ricordare e ricordare conduce al cuore di una storia, di un legame, di un cammino condiviso, di un’amicizia: “Chi era per me? Non sarei stato\a quello che sono senza questo legame! Quali sono i primi ricordi che vengono? Quale la storia del nostro legame? Quali sono le parole che avrei voluto dire e non ho potuto?”.
Nel lutto c’è qualcosa che va perso per sempre, ma c’è anche qualcosa di nuovo che nasce perché la relazione con la persona amata può diventare più interiore e spirituale. Nel lutto c’è una grossa corrente affettiva che viene minacciata perché il legame viene visibilmente a mancare, ma non per questo viene chiusa, perché la relazione con la persona cara si trasforma in qualcosa di più essenziale e intimo. Il racconto che ravviva il ricordo inizia questa lenta e preziosa trasformazione che segna la vita di chi rimane, a volte al punto di innescare profondi cambiamenti nella persona stessa. Nel Vangelo di Giovanni, dopo l’ultima cena di Gesù (Gv 14-16), si aprono discorsi, che non sono solo di addio, ma che accompagnano l’elaborazione del lutto da parte della comunità dei discepoli: essi non vedranno più il loro amato Maestro, ma proprio attraverso questa separazione vengono iniziati alla vita secondo lo Spirito. Nel dolore e nel pianto scaturisce la gioia perché viene loro donata una presenza più intima e personale dello Spirito del Risorto, il quale trasforma il cuore dei discepoli e li chiama a raccontare e custodire una memoria di amore da testimoniare.
Porre dei segni e ritornare alle sorgenti
Questi giorni così desolati, segnati dalla paura del contagio, delimitati dalle necessarie norme di prevenzione non permettono di celebrare i riti di commiato. Celebrare è il momento in cui una comunità si riunisce a piangere e si dispone a ricevere l’eredità di chi muore. Proprio per questo è ancor più importante oggi porre dei segni essenziali, compiere gesti semplici carichi di significato che aiutano a ritornare alle sorgenti della vita. Ci sono i gesti della preghiera, i segni che ricordano la persona cara, la ricerca di una parola che riapra alla risurrezione l’oscurità della morte. Se gli spazi sono ristretti e le persone non si possono riunire, saranno importanti i gesti vissuti in famiglia e nella comunità e i segni posti nella casa – le fotografie, i fiori, l’accensione una luce o una candela alla finestra, la scelta di qualche oggetto significativo per il\la defunto\a, – spesso anche attraverso i social media – messaggi, testi, foto e canzoni – e anche al cimitero, dove i tantissimi famigliari che hanno salutato una persona cara al momento del ricovero, vivendo un lutto previo, ricevono, dopo qualche settimana, solo la cassetta delle sue ceneri.
E’ importante, soprattutto in questo tempo, che al cimitero ci possa essere qualcuno che accolga e benedica le ceneri o il feretro, un sacerdote o un diacono, una religiosa disponibili a pregare con le quattro persone che sono autorizzate ad accompagnare la sepoltura.
Nel racconto evangelico della resurrezione di Lazzaro (Gv 11, 1-44) ritroviamo i segni che Gesù stesso pone per accompagnare il lutto di Marta e Maria: lo spazio alle domande della fede, il suo agire misterioso, lo svelarsi del suo affetto e la sua partecipazione al dolore di Marta e Maria. Gesù accompagna il lutto con gesti e parole: arriva dopo che Lazzaro è morto, ascolta il rimprovero di Marta e il pianto di Maria; si mette con loro di fronte alla morte del fratello e amico Lazzaro, si commuove profondamente e piange, prega con confidenza e riconoscenza il Padre che custodisce la vita di tutti e compie gesti che liberano dalla chiusura e dalla paura della morte.
Investire in un gesto d’amore
Un ultimo passo è importante per accompagnare l’elaborazione esistenziale del lutto: poter esprimere un gesto significativo di solidarietà nella memoria della persona defunta. A volte questo gesto viene spontaneo nella famiglia o viene proposto da persone vicine e amici che hanno condiviso passioni e ideali. Questo segno aiuta a investire in modo significativo almeno una parte dell’affetto perduto: un gesto d’amore per persone disagiate o per il bene della propria comunità civile o religiosa; un passo di riconciliazione interiore o esteriore; un mettersi a disposizione per una causa di giustizia o un prendersi cura di persone vicine o lontane o del creato. Questi segni e gesti sono benefici perché iniziano a raccogliere una memoria che coinvolge, segna la vita e rimette in cammino in modo nuovo. Il tempo del lutto non è solo il tempo del dolore, ma un tempo per ricevere, insieme ai ricordi e al bene sperimentato, anche l’eredità spirituale della persona cara.