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Milano

«Il bambino malato ha bisogno di speranza»

Ricco di parole di apprezzamento per l'impegno degli operatori e di risvolti spirituali l'intervento con cui l'Arcivescovo ha introdotto il convegno all'Ospedale Buzzi dedicato all'accompagnamento dei piccoli in sofferenza

di Annamaria BRACCINI

24 Febbraio 2022
Il tavolo dei relatori

«L’esperienza della tenerezza negli ambienti di cura è un tratto che trovo praticato con delicatezza e intelligenza, con una condivisione delle vicende delle famiglie e dei bambini che mi commuove. Devo dire la mia gratitudine per il cuore con cui, oltre le competenze, tutti si impegnano». Sono queste le parole di stima, di amicizia e di profonda ammirazione con cui l’Arcivescovo introduce il convegno «L’olio della tenerezza. Accompagnare il bambino malato, stare vicino alla sua famiglia», che si svolge presso l’Aula Magna dell’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi”, facente parte dell’Asst Fatebenefratelli Sacco, promotrice dell’incontro con l’Arcidiocesi e Regione Lombardia.

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L’intervento dell’Arcivescovo

Tra riflessione e interrogativi si articola l’intervento dell’Arcivescovo, che osserva: «La pratica della cura dei bambini e delle loro famiglie si scontra anche con fatiche, aggravate dalla pandemia, talvolta insopportabili, per le pretese impossibili e reazioni conflittuali. Insieme con la gratitudine, c’è il risentimento di alcuni. Io leggo questa realtà trovando motivi di stupore per il grande bene che si fa, ma anche di sconcerto per alcuni atteggiamenti. Voglio esprimere il mio apprezzamento per la vostra perseveranza nella dedizione anche quando non si riceve nemmeno un grazie». L’incoraggiamento è a considerare in modo comprensivo il bambino e la famiglia al cui fine «questo convegno che vede competenze diverse che si alleano, sembra un’occasione promettente».

Delpini_convegno ospedale Buzzi
L’Arcivescovo durante la sua introduzione

Alcune domande vengono lasciate dall’Arcivescovo ai presenti – tra cui medici, personale sanitario, volontari, il responsabile della Pastorale della Salute don Paolo Fontana, il vicario episcopale per la Zona I monsignor Carlo Azzimonti, il cappellano dell’ospedale don Marco Cannavò e altri sacerdoti impegnati nei luoghi di cura – e alle molte persone collegate da remoto. Anzitutto, se «sia possibile un esercizio critico su quella che sembra un’acquisizione condivisa, ma che, forse, è più un luogo comune: la spiritualità, una parola oggi di moda che è diventata, nella sensibilità attuale, un titolo quasi esigito». Ma cosa significa spiritualità? «Credo che occorra dire che esiste una tensione tra una spiritualità che porta il malato e la sua famiglia a un ripiegamento su di sé, interpretata, quindi, in modo soggettivo e che, magari, costruisce un’immagine di Dio “secondo me” e la possibilità di una spiritualità che indichi vie condivise per offrire speranza, per dare un nome alla salute e alla salvezza».

Un’ulteriore domanda è come si colleghi la spiritualità con la pratica religiosa, perché «si ha come l’impressione che ora si predichi una sorta di spiritualità “neutrale” che si riduce a una cura palliativa, a un sollievo». E questo, nota ancora l’Arcivescovo, «pone delle domande, specie se ci interroghiamo su come il bambino vede Dio, prega, vive la sua spiritualità. Il bambino malato non ha bisogno di una risposta filosofica o scientifica, chiede perché: ha bisogno di una speranza. Possiamo dare un nome alla speranza o proporre solo uno stare vicini?».

Il convegno

Il saluto è portato da Alessandro Visconti, direttore generale dell’Asst e da Carlo Nicora, pari grado all’Istituto dei Tumori: «Il “Buzzi” è una di quelle “locande” di umanizzazione di cui ha parlato papa Francesco nel Messaggio 2022 per la XXX Giornata del malato,dove si accolgono i bambini e le loro famiglie», dice Visconti presentando alcune cifre come «i 6 appartamenti con 11 alloggi offerti gratuitamente, nel 2021, a 225 nuclei familiari di ospiti della struttura per un totale di quasi 450 persone; il Cav del “Buzzi” che si occupa di mamme in difficoltà ed è al fianco delle donne per tutta la durata della gravidanza, anche di donne in situazione di violenza e di grave indigenza; il sostegno continuativo alle famiglie quando si manifesta la nascita di un piccolo con problemi; la particolare attenzione prestata nelle terapie intensive e nell’accompagnamento fino al momento della morte».

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L’Arcivescovo nella cappella dell’ospedale

«Oggi abbiamo migliaia di bambini con malattie rare o cronici, in quanto gli sviluppi della medicina hanno trasformato molte patologie acute in croniche o rare. Il nostro ospedale è cresciuto molto in questi anni, diventando un punto di riferimento», spiega, nella prolusione, Gian Vincenzo Zuccotti, direttore di Pediatria e Pronto Soccorso pediatrico del “Buzzi”, evidenziando i momenti più delicati della presa in carico e della cura come quello del ricovero dei piccoli degenti o le questioni poste dai bimbi inguaribili. «Il tempo della comunicazione è vero e proprio tempo di cura e, in alcuni casi, può essere persino più impegnativo e importante. Tutti devono essere coinvolti nella presa in carico di questi bimbi: medici, psicologi, assistenti sociali, cappellani, volontari, che devono affiancarsi in una valutazione multiprofessionale che tenga conto della globalità della persona».

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Monsignor Bressan e l’Arcivescovo con gli altri relatori

Gli altri interventi

Poi, gli approfondimenti su «La domanda inquietante», proposti l’uno da don Francesco Scanziani, docente di Antropologia alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (“Perché i bambini soffrono? Quale speranza e consolazione?”) e, il secondo (“L’accompagnamento”), articolato nella tavola rotonda a più voci. A concludere è monsignor Luca Bressan, vicario episcopale di Settore che ricorda come «il convegno di inserisca nella Visita pastorale a Milano in corso in questi mesi, un momento importantissimo per la nostra Chiesa e per la città». Un “pellegrinaggio” che diventa ancora più importante se si pensa a papa Francesco e alla sua definizione della Chiesa come ospedale da campo. «Vogliamo intercettare gli ambienti, le realtà del territorio, il reticolo della metropoli e chiederci, nei luoghi di cura come questo, come essere “accanto” sapendo che non abbiamo strumenti adeguati per interpretare il mistero che le persone malate stanno vivendo».

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