Sabato 15 febbraio, alle 12.30, dopo la Messa in Duomo per il Giubileo dei malati e degli operatori sanitari, l’Arcivescovo è atteso a Vimodrone, in piazza dell’Accoglienza 4, per l’inaugurazione di alcuni appartamenti per malati di leucemia (vedi qui il volantino). Don Maurizio Pegoraro, responsabile della Comunità pastorale Santa Croce, spiega la storia e le motivazioni di questo progetto promosso da Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma (Ail) e dalla parrocchia di San Remigio (vedi qui la presentazione).
Come mai è nata quest’idea? È forse la prima volta che una parrocchia destina i suoi ambienti proprio ai malati di leucemia…
Io sono arrivato nel 2020, in pieno Covid, ma la proposta è stata presentata un paio di anni prima, nel 2018. Il motivo è che Ail stava cercando, e tuttora cerca, nell’ambito dell’hinterland milanese, località con un immediato accesso alla metropolitana, per facilitare ai malati l’arrivo nei luoghi di cura della città in breve tempo. La proposta è stata accolta dal Consiglio pastorale e si è arrivati alla cessione di una parte dell’oratorio antico, dell’oratorio femminile, in regime di diritto di superficie: i locali verranno riconsegnati alla parrocchia, con tutto quello che è stato fatto di nuovo, fra trentacinque anni.
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Come si sono svolti i lavori di ristrutturazione e quanto sono durati?
È stato deciso di smantellare tutta una parte della struttura, molto vecchia; sono stati complicati dal fatto che le betoniere faticavano a entrare nei cortili del nostro paese, oltre che rallentati a causa del Covid. I lavori murari sono durati un anno e tre mesi, mentre altri mesi sono serviti per l’arredo, la consegna di tutta una parte impiantistica e via dicendo; quindi in tutto due anni circa.
Si tratta di appartamenti?
La struttura è polifunzionale: ci sono sei mini-appartamenti, ovvero quattro bilocali e due monolocali. Nella maggior parte dei casi si prevede la presenza di tre persone, malato compreso: per questo gli ambienti più ampi sono la maggioranza. Non è un hospice, dove di solito si prevedono due o tre mesi di permanenza e ormai non c’è più nessun tipo di terapia. Queste persone vengono per terapie lunghe: mi dicevano da Ail che normalmente rimarranno qui dagli otto ai dieci mesi, a volte anche più di un anno; a volte arrivano anche famiglie con bambini malati. A tutti loro questa permanenza non costa nulla.
Le leucemie sono malattie aggressive, che fiaccano corpo e spirito. La vostra iniziativa aiuterà a sollevare i malati e le loro famiglie da queste condizioni e a dare loro speranza?
La casa non è un hospice: è una realtà di cura che accompagna la cura per persone che arrivano da lontano, in gran parte da fuori regione. La nostra questione è intercettare, dove possibile, il bisogno di accompagnamento, ma anche di ascolto, che hanno queste persone. Vale di certo per quanti sono in cura, ma anche per i loro familiari e per chi vive con loro la malattia, la fatica, il pianto, il dramma e quant’altro.